La Giurisprudenza

Opposizione a decreto ingiuntivo: su chi grava l’onere di esperire la mediazione?
 
Tribunale di Catania, sentenza n. 4421 del 18 novembre 2019

TRIBUNALE DI CATANIA
QUARTA SEZIONE CIVILE
VERBALE DI UDIENZA

con contestuale sentenza ex art. 281 sexies c.p.c.
L’anno 2019 il giorno 18 del mese di novembre avanti il dott. Giorgio Marino, chiamata la causa civile iscritta al n. OMISSIS RGAC;
promossa da
SOCIETÀ E GARANTE
opponenti;
contro
BANCA
opposta
con intervento di
CESSIONARIA DEL CREDITO
interveniente

AVENTE AD OGGETTO: OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO N. OMISSIS
IN FATTO

Con atto di citazione notificato in data 21.11.2017 SOCIETÀ E GARANTI convenivano in giudizio avanti questo Tribunale BANCA chiedendo che fosse revocato o annullato il d.i. emesso, in favore del convenuto, da questo Tribunale in data 10.8.201 e notificato il 13/17.10.2017 per l’importo di € 159526.00 a titolo di saldo debitorio di due conti correnti intestati alla società e garantiti da fideiussione degli altri opponenti. Contestavano la debenza della somma ingiunta.
L’opposta non si costituiva in giudizio.
Interveniva CESSIONARIA DEL CREDITO in questione opponendosi.

IN DIRITTO

È pacifico che la causa riguarda rapporti derivanti da contratto di c.c. e quindi rientra nell’ambito di applicazione della cd mediaconciliazione obbligatoria prevista dal D.lgs 4.3.10 n. 28 all’art. 5.
Altrettanto pacifico che il tentativo di conciliazione non è stato esperito da nessuna delle due parti in causa, nemmeno entro il termine assegnato dal GI con ordinanza del 12.9.2018.
Nessun dubbio quindi che la opposizione debba essere dichiarata improcedibile.
Ciò posto occorre indagare la sorte del decreto ingiuntivo opposto: se esso debba essere revocato o se, per contro, esso divenga definitivo in conseguenza della improcedibilità della esecuzione.
Ritiene questo giudice (in aderenza all’orientamento già espresso da questa Sezione in diversi procedimenti, anche con riferimento alle conseguenze della omessa mediazione nella fattispecie in esame) che la causa di opposizione a decreto ingiuntivo debba essere considerata procedimento unico con riguardo alla fase sommaria di richiesta ed ottenimento del decreto, e non possa essere qualificata come fase, diversa ed ulteriore, di impugnazione del decreto ingiuntivo: “in altri termini, il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma da luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui e` contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione” ( Cass. 1586 del 2012 in parte motiva).
In ragione della natura del credito e del supporto probatorio di cui gode, la legge processuale consente al creditore di chiedere ed ottenere un provvedimento di condanna al pagamento di una somma o alla consegna di una cosa inaudita altera parte, in esito ad una cognizione tipicamente sommaria da parte del giudice adito: la cognizione piena ed ordinaria è rimessa ad una fase eventuale e successiva, la cui instaurazione è rimessa alla iniziativa del debitore ingiunto.
Una volta notificato il decreto, e quindi instaurato il contraddittorio con il debitore, quest’ultimo ha sostanzialmente due possibilità: prestare acquiescenza al decreto e consentire il passaggio in giudicato o proporre, nei termini di legge, opposizione contestando la pretesa creditoria azionata. In tale secondo ed ultimo caso si instaura un giudizio a cognizione piena che segue le regole ordinarie.
Il giudizio di opposizione riguarda la domanda azionata, in forma sommaria, dal creditore con il ricorso monitorio: è il ricorso monitorio a segnare i limiti del thema decidendum della opposizione, tanto che è il creditore opposto, malgrado nel meccanismo della instaurazione successivo della instaurazione del giudizio di cognizione piena giochi il ruolo di convenuto, a rivestire la qualifica di attore in senso sostanziale.
La domanda azionata è quella del creditore con ricorso per decreto ingiuntivo: domanda rispetto alla quale il debitore ingiunto si trova ad essere convenuto in senso sostanziale. La opinione sul punto della S.C. è conforme: l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non e` azione di impugnazione della validità del decreto stesso” (per tutte, Cass. 1052/1995), ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto – che assume la posizione sostanziale di attore – (e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente); con la conseguenza che la sentenza che decide sull’opposizione deve accogliere la domanda, rigettando l’opposizione medesima, quante volte riscontri che le condizioni dell’azione proposta in sede monitoria sussistano al momento della decisione ( Cass. 23583 del 2010 in parte motiva).
Ed ancora in parte motiva Cass. n. 8539 del 2011: “è opportuno premettere che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, il quale, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente latta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro la stessa proposte, con la conseguenza che l’opponente, pur assumendo normalmente la veste di attore, viene a trovarsi nella posizione sostanziale di convenuto, mentre l’opposto, formalmente convenuto, dev’essere considerato attore dal punto di vista sostanziale.”
Quindi la norma di cui al D.lgs 28 del 2010, laddove stabilisce che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” deve essere interpretata e applicata in relazione alla domanda azionata nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ovvero alla domanda spiegata dal creditore opposto.
Nonostante l’attore in senso formale sia il debitore opposto, attore in senso sostanziale è il creditore e quindi a lui spetta l’onere di instaurare la procedura di mediazione. In considerazione della natura peculiare del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la legge ha espressamente previsto che la mediazione non debba essere esperita obbligatoriamente prima del deposito del ricorso monitorio, ma ha stabilito che la obbligatorietà diviene operativa dopo la pronunzia del GI della opposizione sulle richieste ex artt. 648 e 649 cpc.
Ritiene questo giudice che l’onere dell’esperimento della mediazione spetti al creditore ingiungente e successivamente opposto, in ragione della individuazione della domanda spiegata in giudizio e della sua titolarità in senso sostanziale.
Di conseguenza, se la mediazione non viene promossa, a divenire improcedibile è la domanda del creditore azionata in ricorso monitorio con conseguente decadenza del decreto ingiuntivo (cfr. Trib. Ferrara 7.1.2015; Trib. Firenze 12.02.2015; Trib. Verona 28.10.2014; Trib. Varese 18.5.2012).
Non si ignorano le obiezioni mosse da taluna giurisprudenza di merito in riferimento a tale posizione (cfr. Trib. Chiesti 8.9.2015; Tribunale Bologna del 20/05/2015; Trib. Firenze 30.10.2014; Trib. Prato, 18.07.2011; Trib. Siena, 25.06.2012; Trib. Rimini, 17.07.2014). Si rileva, da parte di chi sostiene che la improcedibilità comporti la definitività del decreto incombendo l’onere della instaurazione della mediazione alla parte opponente a) che è irragionevole che un provvedimento che la legge ha indicato come suscettibile di passare in giudicato debba decadere: tale argomentazione prova troppo in quanto il decreto ingiuntivo è solo potenzialmente in grado di assumere efficacia di giudicato, e tale eventualità è rimessa alla mancata tempestiva opposizione; b) che non è coerente pretendere che sia il creditore a promuovere un adempimento che attiene alla attivazione del processo instaurato dal debitore, quando il creditore dispone già di un titolo: tale motivazione attinge alla stessa ratio che fonda la argomentazione precedente. Il creditore ha un titolo la cui definitività è subordinata alla mancata opposizione; la proposizione della opposizione impedisce il formarsi del tiolo esecutivo e trasferisce la vertenza sulla esistenza e quantificazione del credito nella sede della cognizione piena, rimettendo in discussione tutto il titolo; c) che la revoca del decreto non impedirebbe al creditore di promuovere nuovo ed analogo ricorso monitorio di identico contenuto con conseguente aggravamento del carico giudiziario; tale argomentazione farebbe pesare motivazioni di politica giudiziaria legate alla esigenza deflattiva sulla interpretazione della norma in punto di improcedibilità non tenendo conto che sempre quando un decreto ingiuntivo viene revocato per motivi di rito è pacifico che il creditore possa nuovamente ripercorrere la via monitoria.
Inoltre pare del tutto ragionevole che la spesa, sia pure non di significativo importo, della procedura di mediazione sia posta a carico della parte che ha promosso la domanda e non di chi vi resiste in giudizio: se il creditore avesse scelto la via ordinaria per ottenere l’accertamento del proprio credito e la condanna del debitore all’adempimento è pacifico che l’onere della mediazione sarebbe stato a suo carico.
Tale ultimo orientamento ha, invero, trovato accoglimento (seppur per ragioni differenti) dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Non si ritiene – però – di condividere l’orientamento espresso da Cass. Civ. sez. III n. 24629 del 3.12.2015. In motivazione si legge “invero attraverso il decreto ingiuntivo l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. È l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. È dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché e` l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga”.
L’argomentazione adottata dalla Corte appare essere del tutto contraria alla ricostruzione pacificamente (da sempre) operata in merito alla posizione delle parti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Come ampiamente illustrato in precedenza, non e` l’opponente a decreto ingiuntivo a «esercitare in giudizio un’azione», come recita l’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 per le materie ivi contemplate: egli non fa che reagire alla pretesa monitoriamente azionata dal creditore, proponendo un’opposizione che e`, per forma, un atto di citazione (o un ricorso nel rito lavoristico e locatizio) ma, per contenuto, una comparsa di risposta (o una memoria difensiva nei riti speciali).
Da tale considerazione discendono tutte le note conseguenze nel giudizio che ci occupa in relazione alla facoltà di proporre domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi.
Proprio tali argomenti inducono a ritenere non condivisibile l’ulteriore assunto contenuto nella citata sentenza 24629: “soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente-convenuto sostanziale, opposto-attore sostanziale”.
E difatti in tutta la fase antecedente alla declaratoria di procedibilità (per avvenuto esperimento della mediazione) non si assiste ad un congelamento delle normali posizioni delle parti: non e` prevista alcun differimento dell’esercizio delle tipiche facoltà del convenuto/opponente (domande riconvenzionali, chiamata in causa terzi) ad un momento successivo all’esperimento della mediazione; così come nessuna inversione delle normali posizioni si pone nel momento della valutazione delle istanze ex artt. 648/649 c.p.c., che per espressa previsione legislativa vanno decise prima dell’esperimento della mediazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo per improcedibilità della domanda monitoria.
Né alcun rimessione in termini per l’avvio tardivo del procedimento di mediazione e` ipotizzabile.
Questo Tribunale ha già aderito all’orientamento per il quale in caso di mancato rispetto del termine concesso dal giudice ex art. 5, comma 2, ultimo periodo, D.Lgs. n. 28 del 2010 per il deposito della domanda di mediazione, va dichiarata la sua improcedibilità. L’implicita natura perentoria di tale termine si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista, l’improcedibilità della domanda giudiziale, che comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al giudizio di pervenire al suo esito fisiologico (cfr. Tribunale Lecce 3.3.2017; Trib. Firenze 9.6.2015; contra Trib. Milano, 27 settembre 2016; Trib. Roma 14 luglio 2016; Trib. Monza 1 gennaio 2016).
In ogni caso come rilevato dal Tribunale di Firenze “anche a ritenere di natura ordinatoria e non perentoria il termine di gg 15 per l’avvio della mediazione, la mancata proposizione di tempestiva istanza di proroga comporta inevitabilmente secondo la prevalente giurisprudenza che si condivide la decadenza dalla relativa facoltà processuale (così in materia di conseguenze del mancato rispetto di termini ordinatori processuali non prorogati Cass. 589/2015, Cass. 4448/13; Cass. 4877/05)”.
Nessun dubbio quindi che la domanda debba essere dichiarata improcedibile.
Attesa la obiettiva complessità della questione ed il contrasto giurisprudenziale di merito sul punto, le spese meritano di essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale di Catania – quarta sezione civile, in persona del sottoscritto giudice istruttore in funzione di giudice unico, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sulla domanda
proposta, da SOCIETÀ E GARANTI contro BANCA con intervento di CESSIONARIA, disattesa ogni ulteriore istanza, così provvede:
1. dichiara improcedibile l’opposizione e per l’effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto;
2. compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
IL GIUDICE ISTRUTTORE
(dott. Giorgio Marino)


La domanda di mediazione relativa all’impugnazione di una delibera condominiale interrompe i termini decadenziali se non ha contenuto generico.
 
Tribunale di Foggia, sentenza del 1 ottobre 2021 – Giudice dott. Vincenzo Paolo Depalma

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso –
SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Vincenzo Paolo Depalma ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3544/2018 promossa da: G.P. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio dell’avv. B e dell’avv. BI;

contro

CONDOMINIO RESIDENCE OMISSIS, con il patrocinio dell’avv. P – CONVENUTO/I
CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da verbale che precede. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione notificato il 5.5.2018 P.G. , quale condomina del Residence OMISSIS – in San Menaio, impugnava la delibera assembleare del 9.1.2018, per chiederne l’annullamento/nullità per i seguenti motivi: 1) era stato erroneamente approvato il bilancio relativo all’esercizio 2015/2016, in luogo di quello 2016/2017 oggetto dell’ordine del giorno; 2) era stato falsamente indicato che erano stati trasmessi gli elaborati a tutti i condomini; 3) era stato approvato il bilancio preventivo, con quota determinata in euro 450,00, senza riferimento alle tabelle millesimali; 4) era stata violata la legge n. 2208/2012, con determinazione carente della rideterminazione dei rendiconti ordinata dalla Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 1757/20__; Evidenziava di aver presentato istanza di mediazione, partecipando la stessa al Condominio con raccomandata.
Con comparsa di costituzione e risposta del 12.11.2018 si costituiva il Condominio Residence omissis per eccepire preliminarmente l’inammissibilità dell’opposizione: il termine per l’impugnazione ex art. 1137 c.c. scadeva infatti il 16.3.2018 (essendo pervenuta alla Panni la comunicazione della delibera il 14.2.2018). E nondimeno, la comunicazione del 13.3.2018 non era accompagnata dalla copia della “domanda di mediazione”. Istruita la causa e fallite le ipotesi conciliative, le parti concludevano in senso conforme ed il giudice riservava la decisione. La domanda è inammissibile e, pertanto, non merita accoglimento.
Deve preliminarmente chiarirsi che i motivi di impugnazione azionati dall’attrice hanno tutti ad oggetto motivi di “annullabilità” e non di “nullità”. Le SS.UU. della Corte di Cassazione, infatti, hanno definitivamente chiarito che: “In tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta, non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, la quale, ove non impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137, terzo comma, cod. civ. (decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione, e, per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio”. (Sez. U, Sentenza n. 4806 del 07/03/2005, Rv. 579439 – 01). Nel caso di specie, l’attrice ha impugnato la delibera assembleare invocando: 1. la diversità dei bilanci approvati rispetto a quelli indicati nella comunicazione di convocazione e vizi relativi al procedimento di convocazione assembleare; 2. la violazione dei criteri di riparto delle spese previsti dal regolamento ed imposti con sentenza passata in giudicato; Si tratta, in tutti e tre i casi, di vizi che non determinano la carenza degli elementi essenziali della delibera impugnata. Né si può ritenere che l’oggetto delle delibere impugnate sia illecito, o in qualche modo incida sui diritti reali esclusivi dell’attrice. La domanda, quindi, come innanzi qualificata, concerne tre distinti casi di “annullabilità” della delibera assembleare ed è quindi soggetta al termine perentorio di cui all’art. 1137, comma II, c.c. (come attualmente previsto dal codice civile, all’esito della riforma del condominio, di cui alla legge 220/2012)
Sul punto, merita accoglimento l’eccezione di decadenza formulata da parte convenuta.
L’art. 5 comma 6, d.lgs. 28/2010 stabilisce che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale.
Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”. L’art. 8 della medesima legge, disciplinando il “procedimento di mediazione”, precisa che: “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante”.
La parte istante, quindi, non è liberata dal proprio onere di tempestiva impugnazione con il semplice deposito entro il termine perentorio della domanda di mediazione presso l’organismo di mediazione.
Né è sufficiente che la stessa parte provveda a comunicare all’altra il solo fatto di “aver deposito la domanda” (come nel caso di specie), senza provvedere contestualmente all’allegazione della stessa domanda.
Solo la “domanda di mediazione”, infatti, consente alla controparte di venire a conoscenza dei motivi di impugnazione. La ratio del termine perentorio di legge, infatti, è proprio quella di consentire al Condominio di conoscere quanto prima i motivi di doglianza, al fine di porvi eventuale rimedio del più rapido tempo possibile, ed evitare sia il giudizio di impugnazione che quello stragiudiziale di mediaconciliazione. E, d’altronde, perché si realizzino gli eccezionali effetti sospensivi di cui all’art. 5, comma VI, d.lgs. 28/2010 è necessario che la “comunicazione”, eventualmente anche a cura della stessa parte istante, giunga alla controparte entro il termine di cui all’art. 1137, comma II, c.c. Se è vero che l’art. 5.6 d.lgs. 28/2010 non specifica con chiarezza l’oggetto della “comunicazione”, deve tuttavia dedursi dall’esegesi sistematica con l’art. 8 della stessa legge e con la parte successiva dello stesso art. 5.6 d.lgs. 28/2010 che tale “comunicazione” tempestiva debba contenere per lo meno la “domanda di mediazione”. La disponibilità di tale contenuto minimo non dipende da alcuna condotta di terzi. Al momento di presentazione della domanda presso l’Organismo di Mediaconciliazione, la parte istante è già in possesso della domanda stessa depositata.
Non si comprende, pertanto, per quale ragione la stessa parte istante non possa provvedere immediatamente a “comunicare” tale domanda alla controparte, onde evitare il decorso del termine perentorio ex art. 1137, comma II c.c. In tale direzione, non può predicarsi alcuna esegesi costituzionalmente conforme finalizzata ad estendere l’effetto sospensivo eccezionale per “comunicazioni” incomplete ed inidonee a far tempestivamente venire a conoscenza il condominio dei motivi di impugnazione della delibera. Tale esegesi è stata fin qui condivisa anche:
· in un caso identico, dal Tribunale di Savona, con sentenza 8.2.2019, secondo cui: “in ordine al tentativo di mediazione, il termine di decadenza di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere assembleari viene sospeso, per una sola volta, dalla domanda di mediazione, ma non dal giorno della sua presentazione, bensì dal momento della comunicazione alle altre parti”;
· ed in un caso diverso, ma simile, dalla Cassazione Civile, che ha di recente evidenziato che: “in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l’istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all’art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito”. (Rigetta, CORTE D’APPELLO VENEZIA, 15/12/2016) (Cass. civ. Sez. II Sent., 28/01/2019, n. 2273, rv. 652428-01) Nel caso di specie, in particolare, l’attrice, con comunicazione del 13.10.2016 avvisava la controparte “con riferimento alla delibera in oggetto”, che era “stata prodotta istanza di mediazione alla APEC s.r.l. propedeutica all’azione giudiziaria per la declaratoria di nullità della stessa”. A tale comunicazione non seguiva l’invio di copia dell’istanza di mediaconciliazione.
E, nondimeno, l’allegazione meramente generica dell’ “impugnazione della delibera per la declaratoria di nullità” non appare minimamente idonea a rappresentare le doglianze che la stessa parte avrebbe poi esplicitato nel presente giudizio (e che, come detto, costituiscono pacificamente vizi che determinano “annullabilità” e non “nullità”). Dalla comunicazione del 13.10.2016, infatti, mai il convenuto avrebbe potuto prevedere l’impugnazione della delibera per i motivi spiegati solo nell’atto di citazione.
Aben vedere, poi, nel caso di specie anche la domanda di mediazione (poi comunicata dall’organismo di mediazione) risulta del tutto generica e priva della benché minima indicazione della causa petendi, avendo ad oggetto “impugnativa delibera del 16.8.2016 per nullità ex art.1137 c.c.”.
Deve, sul punto, osservarsi che anche la disciplina di cui alla legge 28/2010, avendo finalità deflattive del contenzioso, è informata al principio della necessaria simmetria tra la domanda azionata in sede di mediaconciliazione (e tempestivametne comunicata alla controparte) e quella avviata nel successivo giudizio. L’allegazione della domanda non può limitarsi all’indicazione della norma violata o del petitum sostanziale richiesto, dovendo comprendere anche l’esplicazione, per quanto sintetica, delle ragioni fondanti tale istanza.
Solo attraverso tale enunciazione la controparte può esser effettivamente resa edotta della domanda che l’istante intenderà azionare nel successivo giudizio. In tal senso la Corte di Cassazione si è già espressa interpretando l’analoga previsione di tentativo obbligatorio di conciliazione vigente nel contenzioso agrario, osservando che: “In materia di contratti agrari, perché possa ritenersi osservata la prescrizione del preventivo tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della legge n. 203 del 1982, è necessario che la pretesa fatta valere in sede di conciliazione sia identica, sotto il profilo soggettivo, del “petitum” e della “causa petendi”, a quella avanzata in giudizio, ma tale condizione è rispettata anche quando la domanda giudiziale abbia ad oggetto una richiesta ridotta rispetto a quella contenuta nella diffida, in modo tale che il più di quest’ultima contenga il meno di quella”. (Rigetta, CORTE D’APPELLO NAPOLI, 08/06/2017) (Cass. civ. Sez. III Ord., 26/06/2019, n. 17059 – rv. 654403-01).
E, del resto, ragionando diversamente, in ipotesi (come quella del caso di specie) nelle quali il giudice si trovi nella necessità di riqualificare la domanda a causa dell’erronea indicazione del petitum materiali richiesto (“nullità” in luogo di “annullamento”), il convenuto non avrebbe alcun modo di conoscere il contenuto della domanda stessa in sede di mediaconciliazione. Alla luce di tali elementi, deve concludersi che nel termine di cui all’art. 1137, comma II, c.c. non sia pervenuta al convenuto alcuna comunicazione idonea a sospendere il termine perentorio previsto per l’impugnazione della delibera di cui è causa.
Risulta non contestato, oltre che documentato, il fatto che il 22.9.2016 l’attrice ha ritirato la comunicazione della delibera del 16.8.2016. Il termine perentorio per l’impugnazione, quindi, scadeva il 22.10.2016.
Entro tale data il convenuto ha ricevuto la sola comunicazione del 13.10.2016 priva di domanda di mediazione e comunque non idonea a far comprendere la causa petendi poi azionata con il presente giudizio.
Va quindi dichiarata l’improcedibilità del presente giudizio, per mancato rispetto del termine perentorio ex art. 1137, comma II, c.c.. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate ex D.M 55/2014, in ragione del valore indeterminato di bassa complessità del presente giudizio, in euro 3.972,00 oltre i.v.a., c.a.p. e rimborso forfettario al 15% (applicate le tariffe minime ex D.M. 55/2014 stante l’assenza di questioni di fatto controverse).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
· Dichiara improcedibile la domanda attorea per violazione del termine ex art. 1137, comma II, c.c.;
· Condanna parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di giudizio, che si liquidano in euro 3.972,00, oltre i.v.a, c.p.a. e rimborso forfettario al 15%.
Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.
Foggia,01/10/2020
Il Giudice dott. Vincenzo Paolo Depalma

Non è giustificabile la mancata partecipazione alla procedura di mediazione per asserita inutilità della procedura conciliativa.
 
Corte d’Appello di Genova, sentenza n. 652 del 13 luglio 2020

CORTE DI APPELLO DI GENOVA
SENTENZA

Omissis
Con il settimo motivo di appello, l’appellante ha lamentato che il Giudice aveva sbagliato nel ritenere ingiustificata la sua partecipazione al procedimento di mediazione, con conseguente condanna dello stesso al pagamento della sanzione di cui all’art. 8, co. 5, DLgs 28/10.
Infatti, la mancata partecipazione si giustificava, come anticipato da lettera inviata al mediatore, sia in considerazione del fatto che ogni questione era già stata risolta con la sentenza 208/08, sia per l’inutilità della procedura conciliativa alla luce delle pretese temerarie della sig.ra omissis nei confronti dell’appellante.
I motivi indicati a supporto dell’assenza della parte al procedimento di mediazione sono inconsistenti.
Va premesso che, secondo la Cassazione (si vedano le ord. 2030/18 e 2031/18), tali sanzioni sono impugnabili con l’appello, non essendo applicabile la previsione di cui all’art. 179 c.p.c.
Nel merito, il ricorso è infondato.
Oltre tutto, nel caso di specie, la valutazione compiuta da omissis di manifesta infondatezza delle ragioni della controparte è stata clamorosamente smentita dall’esito del giudizio. Analogamente, irrilevante è la prognosi di impossibilità di una conciliazione, in quanto l’introduzione di tale istituto è stata determinata dalla necessità di consentire alle parti di trovare un accordo amichevole, proprio laddove questo non sia raggiungibile con i soli mezzi di cui i contendenti ed i loro procuratori dispongono. In sostanza, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità.
Con l’ultimo motivo, l’appellante ha contestato la sua condanna alle spese di lite. Infatti, all’udienza del 25 febbraio del 2015, omissis aveva offerto la costituzione della servitù sul suo fondo secondo il percorso indicato poi nella CTU geom. omissis a condizione che omissis si assumesse i costi di realizzazione e le spese legali e tecniche. Tale proposta non era stata accettata dalla controparte. Inoltre, mentre a suo carico non era addebitabile alcuna scorrettezza processuale, era evidente l’inconsistenza delle pretese della ricorrente. Per queste ragioni, era omissis che doveva essere condannata a rifondere le spese di lite a suo favore. Anche in questo caso, l’appellato ha chiesto di rigettare l’appello, richiamandosi alle motivazioni del provvedimento di primo grado. Il Giudice ha dato atto, nel motivare la propria decisione sulle spese, che, sin ab origine, omissis aveva contestato la sussistenza del requisito dell’interclusione; tale contestazione, come visto, è continuata, immotivatamente, in appello; la sua condanna alle spese è conseguenziale, quindi, alla sua soccombenza sul punto ai sensi dell’art. 91 c.p.c. Irrilevante, poi, è la circostanza che l’appellata abbia rifiutato una proposta transattiva; l’art. 91 c.p.c. dà rilievo a tale condotta, ai fini della disciplina delle spese, solo quando la domanda sia accolta in sentenza in misura non superiore al contenuto della proposta rifiutata. Nel caso di specie, invece, parte appellata, accettando la proposta dell’appellante, avrebbe dovuto rinunciare alle spese di lite, poste a suo carico nell’accordo transattivo, soluzione, questa, difforme da quella adottata nel provvedimento impugnato.
Ne discende, quindi, che la norma sopra richiamata non è applicabile al caso di specie. Si devono esaminare gli appelli proposti da omissis. omissis ha interesse ad impugnare l’ordinanza in esame solo in punto spese e condanna ex art. 8, D.lgs. 28/10. Quanto alla sanzione ex art. 8, stante l’identità di ragioni richieste per la riforma del relativo capo con i motivi indicati da omissis, si richiama quanto già detto sopra. Per quanto riguarda, invece, la compensazione delle spese di lite, il Giudice di primo grado ha contestato la condotta preprocessuale di omissis, evidenziandone la scorrettezza per non aver comunicato da subito, sin dalla mediazione cui non aveva partecipato, che il terreno non era più di sua proprietà. Inoltre, nulla era stato comunicato neppure nel periodo antecedente l’instaurazione della causa. Parte appellata ha evidenziato la legittimità della propria pretesa, ad una valutazione ex ante, dal momento che la CTU del geom. omissis aveva evidenziato che la costituzione di una servitù avrebbe dovuto coinvolgere il terreno che all’epoca sembrava appartenere a omissis. Inoltre, lo stesso omissis non si era limitato a negare la propria legittimazione, ma aveva speso difese nel merito in relazione alla insussistenza dei requisiti per la costituzione coattiva della servitù.
Il ragionamento seguito dal Tribunale per compensare le spese di lite è condivisibile. omissis avrebbe potuto agevolmente evitare la sua partecipazione al presente giudizio partecipando alla mediazione e lì rendere edotta la controparte dell’intervenuta cessione. Non avendo tenuto tale comportamento doveroso con una condotta che ha effetti processuali, come si evince dall’art. 8 del Dlgs 28/10, ha dato causa alle sue spese di lite; a questo, deve aggiungersi che omissis ha proposto una domanda ex art. 96 c.p.c. sulla quale è risultato soccombente ed ha interloquito nel merito dell’esistenza del diritto alla costituzione della servitù, mentre la parte appellata ha da subito rinunciato ad ogni domanda nei suoi confronti (si veda verbale del 10 giugno 2013). Tali circostanze giustificano la compensazione delle spese di lite. Non è stato evidenziato in cosa consisterebbe il danno subito ex art. 96 c.p.c., ragion per cui la relativa domanda deve essere respinta. Anche omissis ha impugnato la sentenza, in relazione alla decisione del Tribunale di compensare le spese di lite. Parte appellante ha contestato la statuizione sul punto, sia per la temerarietà della pretesa di parte appellata, che avrebbe voluto che la servitù passasse sul fondo di sua proprietà mapp. omissis quando era evidente ictu oculi che questo era inadeguato, sia perché non aveva applicato correttamente il principio della soccombenza.
Il Tribunale ha motivato la compensazione delle spese di lite sulla base della considerazione che la omissis aveva instaurato il presente giudizio sulla base della CTU disposta nel corso del giudizio di divisione, che aveva riconosciuto l’interclusione dei suoi fondi ed identificato il percorso per la costituzione della servitù di passo facendo riferimento anche al terreno di proprietà del omissis. Secondo il Tribunale, solo nel corso di nuove indagini tecniche disposte nel corso del giudizio, era emersa la possibilità di un diverso e più adeguato passaggio. L’argomentazione è coerente con la normativa sulle spese di lite. La possibilità di realizzare il percorso indicato dal geom. omissis è una novità fattuale emersa solo nel corso del giudizio e conoscibile solo per il tramite di nozioni tecniche, non nella disponibilità della parte (tant’è che si è reso necessaria una CTU che è arrivata a conclusioni diverse da quelle fatte da altro esperto del Tribunale).
Tale circostanza giustifica la compensazione delle spese di lite.
La giurisprudenza infatti, afferma che “Ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., come riformulato dalla l. n. 69 del 2009 (“ratione temporis” applicabile), la compensazione delle spese legali può essere dispo sta, in difetto di soccombenza reciproca, per “gravi ed eccezionali ragioni”, tra le quali, trattandosi di nozione elastica, rientra la situazione di obiettiva incertezza sul diritto controverso omissis. Considerato, peraltro, che sono state esaminate questioni comuni, la liquidazione dei compensi si è attenuta ai minimi di valore indeterminabile complessità bassa, esclusa la fase istruttoria dell’appello. Le parti appellanti sono, poi, tenute al versamento del doppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, DPR 115/02.

PQM

Respinge gli appelli proposti e per l’effetto conferma la ordinanza ex art. 702 bis c.p.c del Tribunale di Massa omissis;
condanna omissis a rifondere a omissis le spese di lite, spese di lite che liquida, per ciascun soccombente, in euro 3.308,00 oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto che sussistono i presupposti per il pagamento da parte degli appellanti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, DPR 115/02.

Tribunale di Monza – Dott Davide De Giorgio – 05/02/2021 – In caso di mediazione disposta dal Giudice le parti non possono limitarsi al formale primo incontro.

TRIBUNALE DI MONZA
Sezione Prima Civile
Il Giudice
rilevato che è stata disposta la trattazione scritta e che è stata depositata la nota
congiunta sostitutiva del verbale di udienza, letti gli atti e sciogliendo la riserva;
-rilevati gli elementi essenziali della lite come segue:
a) con il decreto opposto è stato ingiunto a XXX spa il pagamento in favore della YYY s.r.l.
dell’importo di euro 33.596,34 a titolo di corrispettivo della vendita di ricambi per
carriponte;
b) con l’atto di citazione in opposizione, la società acquirente ha dedotto che detti ricambi
erano stati ordinati al fine di tentare di risolvere, senza esito, difetti di funzionamento
relativi a due carriponte acquistati sempre dalla YYY sr.l.; l’opponente, sulla scorta di ciò,
oltre a domandare il rigetto della domanda avversaria, ha proposto domanda
riconvenzionale di risarcimento dei danni derivanti dai fermi dei macchinari forniti dalla
controparte, quantificando il pregiudizio economico subito in euro 20.000,00, salva una
miglior quantificazione all’esito dell’istruttoria;
c) la società opposta, da parte sua, ha sostenuto che le problematiche lamentate dalla
controparte derivavano da un utilizzo dei macchinari a temperature eccessive rispetto a
quelle massime consentite sulla scorta dell’offerta contrattuale;
-valutati la natura della causa e il comportamento delle parti e considerato, in particolare,
quanto segue:
I. la natura specifica dei rapporti tra le parti (le quali sono legate da rapporti contrattuali
da lungo tempo), il che rende opportuno tentare di preservare un pacifica relazione,
attraverso una soluzione condivisa del contrasto;
II. il pregresso tentativo di risolvere le problematiche oggetto di causa mediante plurimi
interventi presso l’opponente da parte dei tecnici dell’opposta;
III. la fase processuale (non si è ancora provveduto sulle istanze istruttorie delle parti);
IV. la complessità dell’ eventuale istruttoria (l’opponente ha domandato l’ammissione di
prova per interrogatorio formale e per testi su 50 capitoli, l’opposta ha domandato
l’ammissione di prova testimoniale su 12 capitoli; inoltre, la produzione di
documentazione tecnica ed il contrasto tra le parti circa l ’individuazione delle cause delle
problematiche in questione e l’idoneità o meno dei materiali forniti a risolverle potrebbe
rendere necessaria l’effettuazione di una C.T.U.) ed i relativi costi (specie ove dovesse
procedersi alla nomina di un C.T.U.);
V. il rallentamento dell’attività giudiziaria, specialmente quella da compiere con modalità
in presenza, a causa dell’emergenza sanitaria in atto;
– ravvisata la possibilità, alla luce degli elementi emersi nel corso del procedimento, di
una soluzione conciliativa e ritenuto pertanto opportuno disporre l’esperimento del
procedimento di mediazione;-rilevato, in particolare, l’esito dubbio della lite, visto, tra l’altro, che: – la sussistenza dei
problemi di funzionamento lamentati dall’opponente pare emergere dalla corrispondenza
in atti; – quanto alle cause dei malfunzionamenti, esse ad oggi non risultano accertate in
maniera univoca, e lo stesso è a dirsi quanto all’idoneità o meno dei materiali forniti a
risolvere le problematiche in questione; – non sono stati addotti specifici indicatori
economici relativi alla liquidazione del danno lamentato dall’opponente, la prova della cui
sussistenza è stata affidata all’assunzione di prove dichiarative;
P.Q.M.
così provvede:
-letto ed applicato l’art. 5, comma 2, Dlgs 4 marzo 2010 n. 28, dispone l’esperimento
della mediazione ed assegna termine alle parti di quindici giorni dalla comunicazione della
presente ordinanza per depositare la relativa domanda dinanzi a un organismo scelto dalle
stesse, avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 4 , comma 1, del D. Lv. 28/2010, salva la
facoltà per le parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso
da quello indicato nell’art. 4 citato;
-precisa che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore
personalmente e con l’assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo;
-precisa altresì che per “mediazione disposta dal Giudice” si intende che il
tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché
limitarsi al formale primo incontro – adempiano effettivamente all’ordine del
Giudice, partecipando alla conseguente procedura di mediazione;

Si comunichi.
Così deciso in Monza in data 05/02/2021.

Tribunale di Forlì – Dott Emanuele Picci – 29/01/2021 – Va revocato il decreto ingiuntivo se il creditore opposto – chiamato in mediazione – non vi partecipa.

S E N T E N Z A
nel procedimento iscritto al n. 2549 di registro generale dell’anno 2015, avente ad
oggetto: contratti bancari, mediazione obbligatoria;
promosso da
XXXXX XXXXX (c.f. XXXXX) e XXXXX XXXXX (c.f.
XXXXX), rappresentati e difesi dall’avv. XXXXXXXXXXXX(c.f.
), con distinte procure in atti;
opponenti
contro XXXXXXXXXXXX), con procura in atti;
opposto
– ooOoo –
Conclusioni per XXXXX XXXXX+altri:
«rigettate tutte le eccezioni avversarie ed in particolare l’eccezione di improcedibilità della
domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione per le argomentazioni
in atti, IN VIA PRINCIPALE: rigettare, in ogni caso, perché illegittima, infondata per le
motivazioni esposte in atti ogni avversa pretesa, azionata in via monitoria dalla Banca XXX
, accertando e dichiarando l’inoperatività e/o inefficacia delle polizze fideiussorie di che
trattasi e/o la nullità assoluta delle stesse per violazione dell’art. 2 della legge 287 del
1990, così come previsto dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato 14251 del
2005 e del provvedimento della Banca d’Italia nr 55 del 2005 così come argomentato in
atti e/o comunque, l’intervenuta liberazione del fideiussore, stante anche la violazione del
dovere di buona fede. Disponendosi la cancellazione delle ipoteche giudiziali iscritte sugli
immobili degli opponenti in forza del DI emesso dal Tribunale di Forlì n 499/15 e/o la loro
riduzione in ragione delle minori somme che dovessero risultare come effettivamente
dovute. In via subordinata, accertarsi la minor somma dovuta in relazione a tutto quanto
esposto e dedotto in atti, anche mediante idonea consulenza tecnica d’ufficio. In ogni
caso, sempre nel merito ed in via subordinata, e con riserva di gravame, per la denegata
ipotesi in cui i Sig.ri XXXXX XXXXX e/o XXXXX XXXXX, singolarmente e/o in solido,
fossero costretti a pagare in esecuzione delle polizze fideiussorie contratte, accertato e
dichiarato il diritto di surroga e di regresso, ex artt. 1949, 1950, 1203 n. 3 cod. civ., nei
confronti di YYY srl, condannare quest’ultima a restituire ai Sig.ri XXXXX XXXXX e/o XXXXX
XXXXX quanto da essi versato, singolarmente e/o in solido, oltre interessi dal di del
pagamento al saldo. IN VIA ISTRUTTORIA… Con vittoria di spese, competenze, rimborso
forfettario, come per legge».
Conclusioni per Banca XXX:
«In via processuale e preliminare, dichiarare la nullità e, dunque, l’inammissibilità delle
azioni proposte ex adverso. Nel merito, respingere tutte le domande e pretese formulate
contro il Fondo di Garanzia ….., consorzio costituito ai sensi del D. Lgs. 659/1996, con sede
legale in XXXXX (RM), Via ….., C.F. …. , siccome inammissibili ed infondate, per i motivi
tutti esposti in narrativa della comparsa di costituzione e risposta ed in atti successivi; eper l’effetto confermare il decreto ingiuntivo opposto. Nel merito, condannare, in solido tra
loro e ciascuno per i propri titoli».
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Con atto di citazione ritualmente notificato, XXXXX XXXXX e XXXXX XXXXX hanno
opposto il decreto ingiuntivo 499/15 del 11.03.2015, in forza del quale XXXXXXXXXX

ingiungeva anche nei loro confronti il pagamento dell’importo, pari ad €
58.609,82, oltre interessi convenzionali e spese. Avverso il medesimo provvedimento
monitorio ma con separato atto di citazione, si sono opposti Immobiliare ZZZ s.r.l., quale
debitrice principale, nonché AAA, BBB e CCC, in qualità di fideiussori, contestando la
sussistenza e l’entità della somma ingiunta. La causa ha poi assunto il n. xxxx/15 di
registro generale e proseguiva il suo corso separatamente all’odierno procedimento.

  1. Giova premettere che la presente causa veniva inoltrata all’udienza del 14.10.2020
    affinché, previa concessione dei termini per gli scritti conclusivi ex 190, c.p.c., venisse
    risolta la questione relativa alla procedibilità del giudizio, a seguito della mancata
    partecipazione di parte convenuta opposta alla procedura di mediazione (v. verbale di
    primo incontro del 28.12.2016 svoltosi presso l’Organismo di Mediazione XXXX). Con
    ordinanza del 16.01.2020, il Tribunale rappresentava alle parti il caso risolto dalla Corte di
    Cassazione, con sentenza n. 18068 del 5.07.2019, invitandole a precisare le conclusioni sul
    citato aspetto pregiudiziale.
  2. La sentenza n. 19596 del 18.09.2020 resa a Sezioni Unite.
    Prima di analizzare le singole problematiche poste dal caso odierno, è opportuno
    rammentare che, nel mese di settembre 2020, il Supremo Consesso dei giudici di
    legittimità è intervenuto per dirimere un contrasto giurisprudenziale, in ordine
    all’individuazione della parte tenuta ad attivare la procedura di mediazione nel caso di
    giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
    Come anticipato, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 19596 del
    18.09.2020, hanno statuito nel senso che: “Nelle controversie soggette a mediazione
    obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi
    vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di
    opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione
    del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte
    opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui
    al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo” (v. anche Cass., sez. 3,
    n. 159 del 8.01.2021).
    Dunque, ai fini di identificare quale sia la parte obbligata non residuano dubbi: avrebbe
    dovuto promuovere la procedura di mediazione Banca XXX, quale cessionaria
    della linea di credito azionata in sede monitoria da Banca YYY.
    Tale assunto costituisce la premessa logico-giuridica per svolgere le argomentazioni di cui
    ai paragrafi successivi.Per tale ragione, è necessario ripercorrere le tre coordinate che
    hanno portato le Sezioni Unite ad affermare il summenzionato principio di cui ai paragrafi
    successivi.
    3.4 Per tale ragione, è necessario ripercorrere le tre coordinate che hanno portato le
    Sezioni Unite ad affermare il summenzionato principio di diritto.
    Ciò appare imprescindibile poiché, alla luce di tale definitivo arresto giurisprudenziale,
    andranno poi rilette le sentenze di Cass. n. 8473/19 e Cass., n. 18068/19 che, purtemporalmente precedenti, affrontano il tema connesso (e conseguenziale) dell’omessa
    partecipazione alla procedura di mediazione.
    Il primo dato è testuale e viene esplicitato dalle Sezioni Unite chiarendo l’effettiva portata
    di tre disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 28 del 2010:
    a) la prima norma è quella dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. cit. il quale, nel regolare
    l’accesso alla mediazione, stabilisce come debba essere proposta la relativa domanda e
    specificamente dispone, al comma 2, che: «l’istanza deve indicare l’organismo, le parti,
    l’oggetto e le ragioni della pretesa». Come osservato dalla Suprema Corte, se il
    sistema processuale poggia innanzitutto sul principio della domanda, allora
    l’attore a dover chiarire l’oggetto e le ragioni della pretesa;
    b) la seconda disposizione è contenuta nell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, il
    quale dispone, tra l’altro, che: «chi intende esercitare in giudizio un’azione» relativa a una
    controversia nelle materie ivi indicate «è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a
    esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto». Pertanto, l‘obbligo
    di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi
    intende esercitare in giudizio un’azione, ossia all’attore;
    c) la terza disposizione è quella dell’art. 5, comma 6, del lgs. n. 28 del 2010, il quale
    dispone che: «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione
    produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale». La Suprema Corte
    prosegue: “È agevole collegare questa previsione con gli artt. 2943 e 2945 cod. civ., i quali
    regolano gli effetti della domanda giudiziale sull’interruzione della prescrizione e
    l’ultrattività dell’effetto interruttivo in caso di estinzione del processo (art. 2945, terzo
    comma, cit.). L’art. 5, comma 6, anzi, prevede pure un effetto impeditivo della
    decadenza «per una sola volta». Va da sé che non appare logico che un effetto
    favorevole all’attore come l’interruzione della prescrizione si determini grazie
    ad un’iniziativa assunta dal debitore, posto che l’opponente nella fase di
    opposizione al monitorio è, appunto, il debitore (convenuto in senso sostanziale)”.
    3.6 Il secondo ragionamento è di tipo logico-sostanziale e può essere riassunto nel modo
    seguente. Se con l’opposizione a decreto ingiuntivo s’instaura un ordinario giudizio di
    cognizione nel quale occorre verificare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto
    (creditore in senso sostanziale), e se la procedura di mediazione è collocata
    temporalmente dopo la decisione sull’istanza di provvisoria esecuzione (in ipotesi di
    omessa proposizione prima del giudizio) allora, nel momento in cui sorge l’obbligo di
    attivarla, il procedimento è diventato a cognizione piena incanalandosi lungo un percorso
    processuale di tipo ordinario.
    Pertanto, la soluzione più coerente con l’intero sistema quella che assegna gli oneri in
    modo analogo tra i diversi riti processuali: al primo (l’attore) il compito di dare prova del
    diritto fatto valere (il credito) e l’allegazione dell’inadempimento del debitore, al secondo
    (convenuto) di dimostrare l’avvenuto adempimento o i fatti estintivi o modificativi di tale
    diritto. Per prendere posizione, il convenuto evidentemente deve conoscere l’oggetto e le
    ragioni della pretesa.
    3.7 L’ulteriore argomento attiene alle conseguenze che si verificherebbero in caso di
    inerzia. Vanno cio preferite, dovendo bilanciare l’efficienza del sistema processuale e la
    ragionevole durata dei procedimenti con il diritto di difesa, quelle che meno sacrificano
    quest’ultimo.
    Pertanto, nel caso di improcedibilità della domanda e revoca del decreto, il
    creditore opposto potrà sempre riproporre la domanda; al contrario, se l’onere
    di attivazione venisse posto sul debitore opponente, l’effetto sarebbe quello direndere irrevocabile l’ingiunzione compromettendo definitivamente il suo
    diritto.
  3. Le sentenze di Cass., n. 8473/19 e Cass., n. 18068/19.
    4.1 Una volta chiariti i cardini della pronuncia delle Sezioni Unite, si tratta ora di mantenerli
    fermi nell’analizzare le conseguenze nei casi di omessa partecipazione di parte convenuta
    opposta alla procedura di mediazione, allorquando l’istanza di mediazione sia pervenuta
    all’organo di conciliazione su iniziativa di parte attrice opponente.
    4.2 Come anticipato sopra, occorre dato conto di , n. 8473/19 e di Cass. n. 18068/2019.
    Seguendo il medesimo solco interpretativo, le due pronunce affermano, in sintesi:
    a) che l’art. 8 del lgs. n. 28/2010 impone la presenza obbligatoria, oltre che degli
    avvocati, anche delle parti personalmente al primo incontro e che non possano
    inviare in mediazione soltanto i loro avvocati;
    b) ciò nonostante, non venendo in questione un atto di natura strettamente personale e
    pur non essendo auspicabile che ciò avvenga nel silenzio della legge che ciò non vieta, che
    la presenza in mediazione è delegabile ad altri, incluso il difensore stesso, purché il cliente
    conferisca detto potere in un atto distinto dalla procura alle liti (che eventualmente lo
    contenga), sia essa in forma di procura notarile sia se autenticata dal difensore medesimo.
    Pertanto, che il potere di sostituzione va conferito con una procura speciale
    sostanziale, con una procura cioè dal valore non meramente processuale, ma
    attributiva della rappresentanza sostanziale della parte;
    c) con riferimento alla questione dell’effettività o meno del tentativo di conciliazione per
    ritenere procedibile la domanda, che il dato letterale dell’art. 8 e la necessità di
    interpretare in modo non estensivo le disposizioni relative a condizioni di procedibilità
    portano a ritenere che la specifica condizione di procedibilità costituita dal previo
    esperimento della mediazione debba ritenersi sussistente con l’avvio della procedura di
    mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del
    quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione ed alle
    modalità di svolgimento della mediazione, la parte può liberamente manifestare il suo
    parere negativo sulla possibilità di utilmente proseguire la procedura di mediazione.
    Quindi, secondo i giudici di legittimità, solo se le parti confermano di procedere con
    la successiva fase dì discussione, il mediatore andrà avanti, altrimenti si
    arresterà alla fase preliminare, all’esito della quale sono dovute solo le spese, e
    non anche il compenso del mediatore (v. art. 17, co. 5-ter, d. lgs. cit.);
    d) se il chiamato non compare o comparendo dichiara di non essere interessato alla
    mediazione, il mediatore darà atto dell’esito negativo della mediazione e nel
    successivo giudizio di merito il giudice trarrà eventualmente argomenti di
    prova ex 116, c.p.c. e potrà condannare il chiamato al pagamento di una somma
    pari al contributo unificato (v. art.8, co. 4-bis, d.lgs. 28/2010). Ed anche se è il
    chiamante a non comparire o, comparendo, dichiara di non essere interessato alla
    mediazione, il mediatore, pur essendo presente la parte invitata, dovrà prenderne atto e
    chiudere con il verbale negativo sempre al termine dell’incontro preliminare. Anche in
    questa ipotesi il giudice deve ritenere che la mediazione sia stata esperita e che
    la condizione di procedibilità sia integrata.
  4. La tesi “sostanzialistica” dei giudici di merito.
    5.1 Se, da un lato, con le due pronunce citate, la 8473/19 e la n. 18068/2019, i giudici di
    legittimità hanno mostrato di confermare la tesi prevalente della giurisprudenza dimerito, volta cioè ad escludere che la procedura di mediazione possa essere una
    mera formalità da assolversi con la sola partecipazione dei difensori, v. sub. a);
    dall’altro lato, non hanno condiviso la tesi “sostanzialistica” più volte sostenuta dai giudici
    di merito, v. subb. b) – d).
    Il Tribunale ritiene di rivalutare le enunciazioni di cui ai subb. b) – d).
    5.2 È proprio convincimento che un semplice incontro tra i soli difensori delle parti,
    ancorché muniti di procura speciale per la partecipazione alla mediazione (sub.
    b), non sia consentito dal momento che in seno alla procedura la funzione del
    legale è quella di mera assistenza alla parte comparsa.
    5.3 L’esplicito riferimento contenuto nell’art. 8, cit., secondo cui «[…] al primo incontro
    e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con
    l’assistenza dell’avvocato» non solo scinde, a livello lessicale, la figura della parte
    personalmente da quella del difensore, i quali entrambi devono partecipare al primo
    incontro ed a quelli successivi, ma soprattutto evidenzia come l’avvocato, sotto il
    profilo funzionale, non rappresenti (e sostituisca) la parte, bensì svolga
    un’attività di assistenza tecnica.
    5.4 Al contrario, se l’avvocato spendesse realmente il suo potere di
    rappresentanza del cliente, allora non vi sarebbe ragione del perché il
    mediatore sia tenuto a fornire tutte le informazioni della procedura di
    mediazione al momento d. “filtro”, tenuto conto che il difensore è mediatore di
    diritto e titolare degli obblighi informativi ex art. 4, co. 3, del d. lgs. 28/10 nei confronti del
    cliente: «All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto ad informare l’assistito
    della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal
    presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa
    altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione
    di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e
    per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e
    l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto
    dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice
    che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo
    5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione».
    5.5 Sotto l’aspetto squisitamente pragmatico, se lo scopo dell’istituto della mediazione è
    quello di risolvere in via stragiudiziale una controversia, attraverso il raggiungimento di un
    accordo amichevole di definizione della controversia (v. ex 8, co. 3, d. lgs. n.
    28/2010), sembrerebbero frustrate tali istanze ove fosse riconosciuto al difensore
    l’ulteriore potere di rappresentare la parte. D’altronde, come già anticipato
    poc’anzi, il difensore mediatore ex lege ed ha il potere di risolvere
    bonariamente la vertenza anche al di fuori della procedura di mediazione.
    5.6 Quindi, la presenza personale delle parti in mediazione è una condizione
    imprescindibile. A conferma sia della necessaria presenza personale di cui al sub. b),
    nonché del superamento del momento meramente informativo (c.d. “filtro”) ai fini
    dell’avveramento della condizione di procedibilità, in ciò non condividendo i subb. c) e d),
    depone anche l’analisi delle fasi di cui si compone la procedura di mediazione, e come
    essa si svolga in concreto.
    5.7 Uno degli aspetti che è stato oggetto di pronunce dei giudici di merito riguarda
    appunto il c.d. “incontro filtro”. Per quanto di interesse in questa sede, il decreto legge n.
    69 del 21.06.2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 9.08.2013, da un lato,
    ha modificato l’art. 8, comma 1, del d. lgs. n. 28/10, dall’altro lato, ha introdotto il nuovo
    art. 5, comma 2-bis. Pertanto, dalla combinazione delle due disposizioni è dato desumere
    che:i) al primo incontro, il mediatore espone i caratteri del procedimento di mediazione e
    verifica, con le parti e i relativi avvocati, la “possibilità” di incominciare le trattative: «Al
    primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti
    devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore
    chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore,
    sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati ad esprimersi sulla
    possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
    svolgimento» (v. art. 8, co. 1, cit.);
    ii) nel caso in cui detto incontro si concluda senza l’accordo, la condizione di procedibilità
    si considera avverata: «Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è
    condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se
    il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo» (v. art. 5, co. 2- bis,
    cit.).
    5.8 Dal dato letterale si evince che, ai fini dell’avveramento della condizione di
    procedibilità, debba tenersi un “primo incontro”, al cui esito il mediatore prende atto del
    mancato raggiungimento dell’accordo oppure, in caso favorevole, procede
    all’espletamento della mediazione.
    5.9 Il “primo incontro” di cui all’art. 5, 2-bis, cit. non coinciderebbe però con il
    c.d. “filtro”, bensì con una fase successiva a quella preparatoria. In tale
    prospettiva, l’inciso secondo cui: «il mediatore […] invita […] le parti e i loro avvocati
    a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e […]» (art. 8, co. 1,
    seconda parte, lgs. n. 28/20), pare riferirsi ai presupposti essenziali per un
    procedimento validamente instaurato, separando il momento “informativo” da
    quello di interlocuzione “effettiva” tra i litiganti.
    5.10 Alcuni autori hanno elencato una serie di ipotesi che riempiono di significato il
    momento “filtro”, cio quello di verifica preliminare. Si pensi, ad esempio: a) alla carenza
    o alla mancata produzione della delibera che autorizza l’amministratore a rappresentare il
    condominio; c) alla carenza della procura (per il caso si ritenga ammissibile diversamente
    da quanto qui sostenuto) conferita dalla parte al soggetto delegato a rappresentarla nella
    procedura di mediazione; d) o ancora all’autorizzazione del giudice tutelare, nei casi
    previsti dalla legge, qualora alla mediazione debba partecipare un minore. Soltanto la
    corretta instaurazione del procedimento di mediazione consentirà di procedere oltre, cioè
    di superare il momento “filtro”. Dunque, tale corretta instaurazione è una
    condizione necessaria ma non ancora sufficiente per ritenere assolto l’onere di
    attivazione della procedura, e conseguentemente avverata la condizione di
    procedibilità.
    5.11 La giurisprudenza di merito si è diffusamente occupata del tema della partecipazione
    necessariamente personale delle parti alle diverse attività in cui si articola il procedimento
    di mediazione.
    Al riguardo, è stato affermato che per considerare “svolto correttamente” il tentativo di
    mediazione, il c.d. “incontro filtro” non possa tenersi tra i difensori, neppure se
    forniti di idonea procura a conciliare la lite (v. Trib. Palermo 14 febbraio 2017; Trib.
    Napoli Nord 17 gennaio 2017; Trib. Pavia 1° aprile 2015; Trib. Pavia 30 marzo 2015; Trib.
    Pavia 9 marzo 2015; Trib. Pavia 10 febbraio 2015; Trib. XXXXX 19 febbraio 2015; Trib.
    Cassino 16 dicembre 2014; Trib. Firenze 26 novembre 2014; Trib. Bologna 16 ottobre 2014;
    Trib. XXXXX 30 giugno 2014; Trib. Bologna 5 giugno 2014; Trib. Firenze 19 marzo 2014;
    Trib. Firenze 17 marzo 2014). I giudici di merito hanno mostrato di aderire alla tesi
    inizialmente sostenuta dal Tribunale di Firenze (cfr. Trib. Firenze 19 marzo 2014),
    secondo cui non solo occorre che le parti siano presenti al momento c.d. “filtro”, ma è
    necessario anche superare tale fase preparatoria, in cui il mediatore dà le informazioni: «il
    mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Ilmediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a
    esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo,
    procede con lo svolgimento» (art. 8, co. 1, cit.).
    5.12 In altri termini, sulle parti grava l’onere pena la declaratoria di improcedibilità
    nei casi di mediazione obbligatoria ex 5, co. 1-bis, di andare oltre il semplice
    momento informativo e di seguire il mediatore nelle fasi iniziali del percorso
    stragiudiziale.
    Solo all’esito del momento c.d. “filtro” avente funzione meramente informativa,
    inizia la procedura di mediazione vera e propria, sicché soltanto da questo
    momento in poi le parti possono legittimamente abbandonare le trattative, non
    prima (cfr. Trib. XXXXX 19 dicembre 2016; Trib. Milano 27 aprile 2016; Trib. Taranto 16
    aprile 2015; Trib. Pavia 1° aprile 2015, cit.; Trib. Palermo 17 marzo 2015; Trib. XXXXX 19
    febbraio 2015; Giud. Pace Monza 28 gennaio 2015; Trib. Siracusa 17 gennaio 2015; Trib.
    Monza 20 ottobre 2014; Trib. Rimini 16 luglio 2014).
    5.13 D’altronde, la partecipazione personale e l’effettività del tentativo sono due aspetti
    che emergono anche dalla “Commissione di studio per l’elaborazione di ipotesi di organica
    disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo
    alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato”, detta anche “Commissione
    Alpa”.
    Nella relazione finale si legge che le parti devono essere presenti: «di persona oppure, per
    giustificati motivi, tramite un rappresentante diverso dall’avvocato che le assiste in
    mediazione (…) a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della
    controversia» (proposta di modifica dell’art. 8, comma 2).
    D’altronde, l’esigenza che il legislatore chiarisca la necessità che si svolga un
    incontro “sostanziale”, che non si esaurisca nel momento meramente
    informativo (“filtro”) se, da un lato, costituisce un approdo della giurisprudenza
    di merito, dall’altro lato, è un punto sul quale la Commissione Alpa suggerisce di
    intervenire: «All’inizio del procedimento il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le
    modalità di svolgimento della mediazione e quindi procede con il suo esperimento [ ]
    (proposta di modifica dell’art. 8, comma 4).
    5.14 Nell’ambito di tale prospettiva “sostanzialistica”, di indubbio interesse la sentenza del
    9 marzo 2015 resa dal Tribunale di Vasto che elenca una serie di motivi che rendono
    legittimo il rifiuto ad aderire alla mediazione.
    È stato ritenuto imprescindibile che il diniego del consenso intervenga, a livello temporale,
    dopo che il mediatore abbia fornito alle parti le informazioni relative alla modalità di
    svolgimento del procedimento, ai possibili vantaggi rispetto ad una soluzione giudiziale
    della controversia, ai rischi ragionevolmente prevedibili di un eventuale dissenso ed
    esistenza di efficaci esiti alternativi del conflitto; inoltre, che il rifiuto alla mediazione sia,
    sotto il profilo sostanziale, pertinente rispetto al merito della controversia e che sia
    plausibile in senso logico.
    In altre parole, la parte non può rifiutarsi manifestando generici motivi di contrasto
    insuperabili (v. anche Trib. Vasto, 17 dicembre 2016).
    5.15 Il Tribunale adito condivide questa tesi “sostanzialistica” tesa a cio
    spronare le parti ad impegnarsi nello sfruttare le potenzialità dell’istituto, senza
    che ciò si risolva in inutili, e spesso dannose, formalità relegando così la
    mediazione ad inutile orpello processuale.5.16 Non si condivide il tentativo di una parte della giurisprudenza di merito di evitare di
    pronunciare l’improcedibilità, ampliando conseguentemente le conseguenze sfavorevoli a
    carico della parte che, senza giustificato motivo, ometta di partecipare al procedimento di
    mediazione.
    A tal proposito, occorre iniziare dall’art. 8, comma 4-bis, del d. lgs. n. 28/2010, il quale
    stabilisce la possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova dal comportamento
    della parte assente ingiustificata e, con particolare riferimento alla mediazione
    obbligatoria, di condannarla al pagamento di una sanzione pecuniaria processuale di
    importo eguale al contributo unificato dovuto per il giudizio.
    Ad esempio, secondo Trib. XXXXX 26 marzo 2015, il comportamento di chi non partecipa
    alla mediazione costituirebbe condotta grave e disinteressata che giustificherebbe la
    condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c.; in base a Trib. Firenze 3 giugno 2015, tale mancata
    partecipazione comporterebbe la condanna immediata al pagamento di una somma pari al
    contributo unificato in prima udienza; Trib. Palermo 29 luglio 2015 ritiene che si possa
    disporre la condanna in prima udienza, purché sia chiaro il motivo della mancata
    comparizione.
    5.17 Esclusivamente la prospettiva “sostanzialista” (che reca con sé la dichiarazione di
    improcedibilità del giudizio a fronte della mancata presenza personale della parte
    all’incontro), permette di ricondurre l’istituto della mediazione entro un solco conveniente
    per le parti, e solo attraverso il loro impegno espresso personalmente ciò può accadere.
    Soltanto un confronto effettivo tra le parti consente di far emergere i loro concreti interessi
    davanti al mediatore.
    5.18 Dal canto suo, il mediatore non può limitarsi a registrare le diverse posizioni
    senza assumere un ruolo “attivo”, svolgendo quasi una sorveglianza passiva dei
    litigi altrui. In realtà, il mediatore deve recepire le esigenze e gli interessi
    personali delle parti così da condurre le stesse ad un tentativo di conciliazione
    amichevole che rappresenti il frutto di un percorso intrapreso insieme.
    5.19 Il c.d. «accordo amichevole di definizione della controversia>> cui si riferisce l’art. 8,
    co. 3, cit., è il frutto della presenza personale delle parti, e tale risultato verrebbe
    evidentemente frustrato da un ruolo di co-protagonista in capo ad un soggetto diverso
    che, come il difensore assiste la parte e non la sostituisce (v. art. 8, co. 2, cit.).
    Inoltre, il perimetro dell’accordo amichevole di cui all’art. 8 cit., può anche non
    coincidere con la vicenda oggetto della controversia processuale, pur dovendola
    ricomprendere interamente.
    Difatti, il mediatore deve tenere conto di tutti quegli interessi che, anche estranei
    al giudizio, sono propri della parte (da qui ancora la necessità che sia presente
    fisicamente quest’ultima) e che non troverebbero ingresso nel processo, vuoi per
    i principi insiti nel processo civile, vuoi per le scansioni preclusive di cui esso si compone.
  5. La mancata partecipazione del convenuto opposto, quale attore sostanziale.
    6.1 A questo punto, si pone un interrogativo cui dare risposta.
    Occorre cioè conciliare la tesi “sostanzialistica” qui propugnata rispetto alla previsione di
    cui all’art. 8, co. 4-bis, del d. lgs. n. 28/2010, secondo cui il giudice desume argomenti di
    prova dalla mancata presenza ingiustificata della parte.
    6.2 Si tratta cioè di evitare di sovrapporre la sanzione (eventuale) di cui all’art. 8, 4-bis,
    cit., avente peraltro deterrenza scarsa o quasi nulla, con quella più incisiva (obbligatoria)dell’improcedibilità. In entrambi i casi, infatti, il presupposto è sempre lo stesso, cioè la
    mancata partecipazione personale della parte.
    6.3 In verità, è la pronuncia delle Sezioni Unite di cui in premessa, la n. 19596/20, a fornire
    un decisivo argomento a sostegno.
    Come sapientemente ricordato dalla Suprema Corte, l’intero sistema processuale si fonda
    sulla figura dell’onere.
    6.4 Se occorre mantenere fermo l’onere di attivazione della procedura di mediazione in
    capo sempre alla stessa parte, a prescindere dal rito, con ciò identificando nell’attore – e
    quindi, in capo alla parte convenuta opposta nel giudizio di opposizione a decreto
    ingiuntivo -, il soggetto tenuto a promuovere la mediazione, allora l’improcedibilità non
    può che essere annessa alla domanda, e quindi, conseguire all’omissione (e alla mancata
    presenza personale) dell’attore in mediazione.
    6.5 Diversamente, il convenuto (l’opponente) può senz’altro richiedere la mediazione
    (come accaduto nel caso di specie), ma non ne sarebbe obbligato, con la conseguenza
    che, una volta chiamato dinanzi al mediatore, la sua assenza rileverebbe esclusivamente
    ai sensi dell’art. 8, co. 4-bis,
    6.6 In altre parole, l’ordinamento configura l’onere nel diritto sostanziale ogniqualvolta
    assegna al soggetto l’ottenimento o la conservazione di un vantaggio, condizionandolo al
    compimento di un determinato atto.
    Ugualmente nel processo, l’onere della prova richiede che la parte interessata a
    dimostrare un determinato fatto o rapporto (o la sua inesistenza), debba svolgere una
    determinata attività: rispettivamente all’attore spetta il compito di dare prova del diritto
    fatto valere (il credito) e l’allegazione dell’inadempimento del debitore, mentre al
    convenuto di dimostrare l’avvenuto adempimento o i fatti estintivi o modificativi di tale
    diritto.
    Pertanto, l’attore che ha interesse a che venga soddisfatta la condizione di
    procedibilità ex art. 5, co. 1-bis, d. lgs. n. 28/10, avendo lui promosso il giudizio.
    6.7 Dunque, la soluzione che diversifica le posizioni è preferibile:
    i) chi intende agire, cio l’attore deve promuovere la procedura di mediazione, nei casi in
    cui essa sia obbligatoria oppure nelle ipotesi di mediazione delegata dal giudice, a tal
    punto che, in caso di sua inattività, la domanda promossa nel giudizio verrà
    dichiarata improcedibile. Affinché la condizione di procedibilità sia soddisfatta
    però non sufficiente depositare l’istanza di mediazione, bensì occorre che
    l’attore sia presente al primo incontro dinanzi al mediatore, a prescindere dalla
    presenza del chiamato con ciò tutelando l’attore da atteggiamenti inerti di
    controparte;
    ii) diversamente, a chi resiste nel giudizio, cio al convenuto non posto l’onere (ha solo la
    facoltà) di attivare la mediazione, né deve presenziare fisicamente, a meno che non abbia,
    a sua volta, formulato una domanda in riconvenzionale. In quest’ultimo caso, il convenuto,
    quale attore in parte qua, ha interesse alla prosecuzione del giudizio, cio all’avveramento
    della condizione, pertanto, valgono le medesime argomentazioni sub i). Nell’ipotesi in cui,
    invece, egli abbia soltanto resistito in giudizio senza formulare domande, dall’omessa
    comparizione ingiustificata dinanzi al mediatore, il giudice può desumere argomenti di
    prova e, nei casi di mediazione obbligatoria, può condannarlo al pagamento di una
    sanzione pecuniaria processuale di importo eguale al contributo unificato
    dovuto per il giudizio.6.8 Se entrambe le parti dovessero comparire al primo incontro ciò è sintomatico di un loro
    iniziale interesse a transigere la lite.
    In occasione del “primo incontro”, il mediatore fornirà alle parti le informazioni preliminari
    riguardo la procedura, i possibili vantaggi rispetto alla soluzione giudiziale, i rischi di un
    eventuale dissenso (v. Trib. Vasto, sopra cit.), dopodiché superato il momento “filtro”,
    egli esperirà il tentativo di mediazione offrendo ai comparenti un’ipotesi di
    accordo amichevole che tenga conto di tutti gli interessi manifestati dalle parti
    stesse, le quali saranno libere di accettarlo o meno.
    6.9 La soluzione prospettata appare in linea rispettivamente:
  6. con l’intenzione del legislatore di deflazionare il contenzioso cui gli
    strumenti di A.D.R. tendono, evitando cioè che chi agisce in giudizio (l’attore)
    attribuisca all’istituto della mediazione nulla più che un mero adempimento
    formale, quasi fosse un ornamento del processo; tale sua convinzione resterebbe
    qualora rischiasse semplicemente la sanzione dell’art. 8, co. 4-bis, cit.;
  7. con la giurisprudenza costituzionale citata anche da , n. 19596/20, in base
    alla quale le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo
    adempimento di oneri sono legittime purché entro certi limiti. Richiedere che
    l’attore sia presente personalmente al “primo” incontro destinato anche ad
    essere “ultimo” qualora non compaia la controparte, appare ragionevole e
    costituisce un sacrificio esigibile, tenuto conto che detto modesto impegno
    preliminare ha lo scopo di evitare: “un buon numero di controversie, ben più
    onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria” (cfr. Cass., n.
    8473/19, cit.).
  8. Una volta chiarito il convincimento del Tribunale, consegue agevolmente la soluzione del
    caso in oggetto. La procedura di mediazione veniva richiesta da parte attrice opponente e
    la controparte, pur regolarmente invitata, non compariva al primo incontro dinanzi al
    mediatore, il quale dava atto dell’impossibilità di dare corso alla procedura. L’assenza
    ingiustificata di parte convenuta opposta, quale attore in senso sostanziale,
    comporta la dichiarazione di improcedibilità della domanda e la conseguente
    revoca del decreto opposto.
    In ragione della novità della questione trattata e del mutamento proposto rispetto alla
    giurisprudenza di legittimità, sussistono ragioni per una compensazione integrale delle
    spese.
    p.q.m.
    definitivamente pronunciando sul proc. n. 2549 dell’anno 2015, ogni diversa domanda ed
    eccezione assorbita o rigettata, così provvede:
    dichiara l’improcedibilità della domanda e, per l’effetto, revoca nei confronti di XXXXX
    XXXXX e XXXXX XXXXX, il decreto ingiuntivo n. 499/15 del 11.03.2015;
    compensa per intero le spese di lite;dispone infine che, ai sensi dell’art. 52, d.lgs. n.196/03, in caso di diffusione della
    presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste,
    supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione
    delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati.
    Forlì, 29/01/2021.
    Il Giudice
    Dott. Emanuele Picci
Tribunale di Crotone – Dott.ssa Federica Gulli – 05/01/2021 – Irregolare l’espletamento del tentativo di mediazione con la partecipazione del solo avvocato in assenza di procura speciale sostanziale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE SEZIONE
CIVILE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Federica Gullì, ha emesso
la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1360 del R.G.A.C.C. dell’anno 2017 e
vertente
TRA
S.R.L. m persona del l.r.p.t, (CF:- presso lo studio dell’Avv. , elettivamente domiciliati in
Crotone, via che li rappresenta e difende in forza di procura a margine dell’atto di citazione
in opposizione a decreto ingiuntivo;
E
opponenti
S.P.A. (P.Iva quale incorporante della già Soc. Coop., s.p.a., in persona del 1.r.p.t.,
elettivamente domiciliata in Crotone, via rappresenta e difende come da procura in atti;
OGGETTO: altri istituti e leggi speciali
presso lo studio dell’Avv. che la
opposta
All’udienza del 10.09.2020 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni come da
verbale di udienza ed il Giudice ha trattenuto la causa in decisione assegnando i termini ex
art. 190 c.p.c.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato la ABC s.r.l., XXXX e XXXXX hanno convenuto
in giudizio la Banca in epigrafe, al fine di opporsi al decreto ingiuntivo n. xxxx/2017
emesso da questo Tribunale in data 21.04.2017 e notificato il 12.05.2017, con il quale è
stato ingiunto loro il pagamento della somma di €. 712.328,53, oltre interessi, a titolo di
saldo passivo del conto corrente n. xxxxxx.
A sostegno dell’opposizione, gli opponenti hanno dedotto: – l’improcedibilità della
domanda per mancato espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria da parte
della Banca opposta; – la carenza di legittimazione attiva della-in relazione al decreto
ingiuntivo opposto, trattandosi di una linea di credito imputabile alla s.p.a.; – l’illegittima
capitalizzazione composta degli interessi in spregio al divieto di anatocismo previsto
dall’art. 1283 e.e.; – la nullità delle commissioni di massimo scoperto applicate per tutta la
durata del rapporto di conto corrente n. 848556, in assenza di alcuna pattuizione al
riguardo; – l’applicazione di interessi usurari in violazione della 1. n. 108/’96; – l’omessa
indicazione nel ricorso monitorio delle specifiche voci di calcolo utilizzate per il conteggio
della somma pretesa.Hanno chiesto quindi l’accoglimento dell’opposizione e, per l’effetto, la revoca del decreto
opposto, con vittoria di spese di lite.
Si è costituita in giudizio la – s.p.a. deducendo: – l’assenza dell’obbligo di esperire il
tentativo di mediazione obbligatoria; – la propria legittimazione attiva, in quanto la del
sarebbe stata incorporata nella soc. coop. a oggi- s.p.a.; – la legittimità delle clausole
contrattuali in ordine all’applicazione degli interessi e delle commissioni di massimo
scoperto, previamente concordate con il cliente; – la specifica indicazione e prova delle
voci di calcolo utilizzate per la quantificazione della somma ingiunta. L’opposta ha dunque
chiesto il rigetto dell’opposizione, previa concessione della provvisoria esecuzione del
decreto ingiuntivo opposto, con vittoria delle spese di lite
Con ordinanza resa a verbale all’udienza del 5.04.2018, il Giudice ha concesso la
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 230/2017 e, non ritenendo perfezionata la
condizione di procedibilità , prevista alla legge, ha assegnato termine alle parte di giorni
15 per procedere al tentativo di mediazione, fissando l’udienza per il prosieguo.
All’udienza del 10.09.2020 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata
trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.
Preliminarmente è opportuno rilevare che la presente causa ha ad oggetto una
controversia per la quale 1’art. 5 del d.lgs. n. 28/20 IO prescrive, a pena di improcedibilità,
il preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione.
Il menzionato art. 5, comma I prevede, infatti, che“Chi intende esercitare in giudizio
un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità
medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari e .finanziari, deve esperire il procedimento di mediazione ai
sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto
legislativo 8 ottobre 2007, n.179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo
128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1°settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi
regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di
decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già
iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di
cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita,
assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione
della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli
articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre
2005, nr.206, e successive modificazioni”.
Ne consegue che incombe sull’attore l’onere di attivare il procedimento di mediazione.
Tuttavia, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, in ragione del particolare
atteggiarsi del rapporto processuale, laddove 1′ opponente è attore in senso formale ma
sostanzialmente convenuto, mentre l’opposto è formalmente convenuto ma allo stesso
tempo titolare della pretesa creditoria, si sono registrati due orientamenti opposti in
giurisprudenza riguardo alla parte sulla quale debba incombere l’onere di instaurare il
procedimento di mediazione.Prima del recente intervento della Corte di Cassazione a Sezione Unite (Cass. SSUU sent
18 sett 2020 n. 19596), posteriore rispetto alla precisazione delle conclusioni nel presente
giudizio, che ha onerato l’opposto a promuovere il procedimento di mediazione,
l’orientamento prevalente della Suprema Corte poneva l’onere de quo in capo
all’opponente (Cass. n. 24629/2015).
Fatte le considerazioni di cui sopra e passando all’esame della fattispecie concreta, va in
primo luogo rimarcato che, non avendo le parti realizzato la condizione di procedibilità di
cui al d.lgs. n. 28/2010, con ordinanza del 5.04.2018, è stato assegnato il termine di giorni
15 previsto dalla legge per procedere al tentativo di mediazione.
Va premesso che l’art. 8 comma 1 terzo periodo d.lgs. n. 28/2010 prevede che “al primo
incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono
partecipare con l’assistenza dell’avvocato”.
Interpretando letteralmente tale disposizione, la giurisprudenza di merito prevalente
ritiene necessaria e inderogabile, salve obiettive e valide giustificazioni, la presenza
personale della parte all’incontro fissato per la mediazione (ex pluris Trib. Roma 27.6.2019;
Trib. Firenze 26 novembre 2014, Trib. Palermo, 16 luglio 2014, Trib. Vasto 9 marzo 2015,
Trib. Bologna 11 novembre 2014, Trib. Pavia 9.3.2015).
Si è, infatti, osservato che la presenza personale delle parti sarebbe posta a
garanzia della stessa finalità che il legislatore ha inteso perseguire con la
disciplina sulla mediazione, in quanto i titolari degli interessi contrapposti in un
giudizio potrebbero tutelarli al meglio con la propria partecipazione attiva al
procedimento, pervenendo più facilmente ad un accordo conveniente per tutte
le parti.
Pur condividendo la sopra menzionata ratio della necessaria partecipazione personale
delle parti al tentativo di mediazione, recentemente la Suprema Corte (Cass. civ. n.
8473/2019), evidenziando l’assenza di disposizioni di legge che introducano una deroga
alla generale possibilità, in materia di diritti disponibili e atti non personalissimi, di
conferire mandato con rappresentanza ad altro soggetto, ha riconosciuto la possibilità per
la parte non presente personalmente all’incontro di mediazione di delegare un altro
soggetto (anche il proprio difensore), purché munito di procura speciale sostanziale.
Ebbene, dal verbale negativo di mediazione dell’8.05.2018 in atti (doc. all. fascicolo parte
opponente) si evince che gli opponenti non hanno partecipato all’incontro
personalmente ma a mezzo dell’Avv. per delega del proprio difensore, in
assenza peraltro del conferimento della procura speciale sostanziale.
Pertanto, non essendo stato regolarmente espletato il tentativo di mediazione obbligatorio
ex lege previsto, deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione.
Alla soccombenza, sia pure per motivi procedurali (Cass. sez 1, sent. 4442 del 28/03/2001)
consegue la condanna della parte opponente alla rifusione delle spese processuali in
favore della s.p.a.
Le spese sono liquidate in dispositivo, secondo i valori minimi, facendo applicazione dei
parametri di cui al D.M. n. 55/2014, aggiornati al D.M. n. 37/2018, tenendo conto della
natura e del valore della causa, nonché del numero e del rilievo delle questioni affrontate.
P.Q.M.Il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al
n. 1360/2017 del R.G.A.C.C., disattesa o assorbita ogni altra domanda ed eccezione, così
provvede:
•dichiara l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da ABC
s.r.l.
• condanna di ABC s.r.l., alla rifusione delle spese di lite in favore XYZ s.p.a, in
persona del legale rappresentante p.t.,che liquida in €. 3.642,00 per compenso
professionale, oltre IVA e CPA come per legge.
Crotone, 05.01.2021
Il Giudice dott.ssa Federica Gullì

Tribunale di Torino – Dott.ssa Gabriella Ratti – 23/03/2021 – La partecipazione alla mediazione è un valore in sè, prescinde dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE di TORINO
PRIMA SEZIONE CIVILE
La Dott.ssa Gabriella RATTI ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta nel R.G. al n. 6773/19, promossa da: S.X di B.XX e C. sas,
rappresentata
e
difesa
dall’
Avv.
D.
C.XX;
Parte
attrice
Contro
Banca/ ., rappresentata e difesa dall’ Avv. M. P.XXX; Parte convenuta.
Conclusioni delle Parti Parte attrice In via preliminare, previa eventuale riforma di quanto
disposto con l’ordinanza del 20.7.20, rinnovo/integrazione della Ctu permettendo al
nominato consulente di valutare la documentazione allo stesso trasmessagli dalla
scrivente
difesa
in
data
8.7.20.
In subordine, insiste per l’ accoglimento delle conclusioni così come formulate in atto di
citazione: “disattesa ogni contraria istanza ed eccezione: accertare e dichiarare la nullità di
tutte le pattuizioni contra legem stipulate tra le parti e in particolare delle clausole che
stabiliscono interessi usurai; ritenere e dichiarare non dovute, per prestazioni senza
causa, le somme addebitate per commissioni massimo scoperto calcolate in costanza di
utilizzo dell’ apertura di credito (scopertura) in aggiunta agli interessi passivi; rideterminare
il saldo effettivo del CONTO corrente calcolando per tutta la durata del rapporto, sin dall’
aperture interessi passivi al tasso legale, senza alcuna capitalizzazione, eliminando le
somme addebitate a titolo di commissioni di massimo scoperto ed applicando la valuta
effettiva alla data di esecuzione dell’ operazione quale data di decorrenza degli interessi
sulle singole operazioni; per l’ effetto, condannare la banca Banca spa alla restituzione del
complessivo importo di euro 46.170, 92 o quella maggiore o minore che il Tribunale riterrà,
oltre interessi dalla data delle domanda al soddisfo, versate indebitamente dalla società
attrice; In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Con riserva di ulteriori argomentazioni, precisazioni e modificazioni, nonché di deduzioni
istruttorie, anche alla luce delle eventuali istanze difensive della controparte, nei termini
previsti dall’ art. 183, comma 6 cpc, dei quali si chiede sin d’ ora la concessione. In via
Istruttoria: ammettere consulenza tecnica d’ ufficio, con mandato al Consulente di
rideterminare il saldo del CONTO corrente, applicando il saggio legale degli interessi
passivi, senza alcuna capitalizzazione, escludendo le somme addebitate a titolo di
commissione di massimo scoperto, verificando altresì il superamento del tasso soglia ed
anche in tal caso sostituendo al tasso ultra legale il tasso legale di interesse, riequlibrando
la
data
di
accredito
e
addebito
valuta.
Si chiede altresì che il Tribunale ordini ex art. 210 cpc all’Istituto di credito l’ esibizione
delle lettere contrattoi stipulate con l’ esponente e di tutte le eventuali comunicazioni di
variazione delle condizioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto, inviare e ricevute
da parte attrice”. Parte convenuta Nel merito Accertare e dichiarare, per i motivi esposti in
atti, l’ intervenuta prescrizione di qualunque diritto restitutorio dell’ attrice in riferimento ai
rapporti di conto corrente di cui è causa, quanto meno al periodo antecedente il 14.2.2009;
respingere tutte le domande attoree perché infondate in fatto e diritto per le ragioni
esposte in atti; per l’ effetto, confermare la legittimità del rapporto di conto correntecontestato e dichiarare che Banca spa nulla deve alla società attrice, a nessun titolo e
ragione. In via Istruttoria Ci si oppone alle istanze istruttorie per i motivi meglio descritti in
atti; in ogni caso, con vittoria di spese e competenze di causa, oltre rimborso forfettario ed
accessori come per legge. Materia del contendere e motivi della decisione
1 ) Parte attrice ha introdotto il presente giudizio con riferimento al conto corrente di
corrispondenza n. 4…, intrattenuto presso l’ AGENZIA di S dell’ Istituto di credito Banca
spa, premettendo che la perizia econometria aveva rilevato alcune irregolarità e che
Banca non aveva partecipato, senza giustificato motivo, alla mediazione obbligatoria
attivata
da
essa
attrice
ante
causam.
Nel dettaglio, parte attrice ha rilevato (i) la nullità della clausola pattuente la
corresponsione delle cms, il superamento dei tassi soglia e la violazione degli artt. 1175,
1376 e 1337 c.c. da parte di Banca. Ha chiesto quindi al Tribunale di (i) accertare e
dichiarare la nullità di tutte le pattuizioni contra legem stipulate tra le parti ed in particolare
delle clausole che stabiliscono interessi usurari; (ii) rideterminare il saldo effettivo del
CONTO corrente, calcolando per tutta le durata del rapporto, sin dall’ apertura interessi
passivi al tasso legale, senza alcuna capitalizzazione, eliminando le somme addebitate a
titolo di commissioni di massimo scoperto ed applicando la valuta effettiva alla data di
esecuzione dell’ operazione quale data di decorrenza degli interessi sulle singole
operazioni; (iii) per l’ effetto condannare la banca Banca spa alla restituzione del
complessivo importo di euro 46.170, 92 o quella maggiore o minore ritenuta dal Tribunale.
In via Istruttoria, parte attrice ha chiesto al Tribunale di ammettere consulenza tecnica e di
ordinare “ex art. 210 cpc all’ Istituto di credito l’ esibizione dellelettere contratto stipulate
con l’ esponente e di tutte le eventuali comunicazione di variazione delle condizioni
contrattuali intervenute nel corso del rapporto, inviate e ricevute da parte attrice”. Tali
conclusioni (anche istruttorie) sono state richiamata anche nella memoria n. 1 ex art. 183
comma
6
cpc.
2) Banca spa si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente l’ incompetenza
territoriale del Tribunale di Torino atteso che il contratto sottoscritto prevede quale foro
esclusivo a conoscere delle eventuali controversie insorte tra le parti il Tribunale del luogo
ove la banca ha sede legale e quindi, nel caso, il foro di Milano ove Banca spa aveva e ha
la propria sede legale. Sul punto, la banca ha precisato ancora che parte attrice aveva
sottoscritto i contratti con la banca in virtù dell’ attività imprenditoriale svolta e dunque non
come consumatore. Sempre in via preliminare, parte convenuta ha eccepito la
prescrizione e, nel merito, ha chiesto il rigetto delle domande in quanto infondate e non
provate.
3) Dopo il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., la causa è stata istruita mediante
ordine di esibizione e ctu e successivamente trattenuta a decisione all’udienza del
23.12.2020, previa precisazione delle conclusioni ed assegnazione dei termini di cui all’
art.
190
c.p.c.
per
il
deposito
degli
scritti
conclusivi.
4) Premesso che l’eccezione di incompetenza territoriale non è stata riproposta in sede di
precisazione delle conclusioni e non è stata trattata in sede di scritti ex art. 190 c.p.c., si
osserva che la presente controversia – concernente il c/c 40170691 acceso nel 2004 e
chiuso il 16.6.2019 – è stata introdotta dal correntista per ottenere un ricalcolo del saldo del
CONTO corrente e la restituzione di somme ritenute non dovute. Ora, quando come nel
caso è il correntista ad agire in giudizio (non come attore in opposizione a decreto
ingiuntivo) incombe sul medesimo, secondo i principi generali, l’onere di dare prova della
bontà e dell’ entità della sua pretesa attraverso la produzione della documentazione
contrattuale e degli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale. Tale onere,peraltro, può essere agevolmente assolto anche tramite l’attivazione degli artt. 119 Tub e
210 cpc. Come è noto, infatti, l’ art. 119 Tub, prevede che il cliente ha diritto di ottenere
“copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi 10
anni ” E, quanto all’art. 210 cpc, la Corte di Cassazione ha precisato che “Il potere del
correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto
corrente tra gli stessi intervenuto, può essere esercitato, ai sensi dell’ art. 119 Tub comma
4, anche in corso di causa e con l’utilizzo di qualunque strumento idoneo allo scopo, senza
alcuna limitazione sostanziale o di forma se non nel rispetto dei termini processuali”
(Cass., 2017 n. 11554 e Cass., 2019 n. 14231) e che “Nessuna interferenza interpretativa
in chiave restrittiva legittimi il raffronto dell’ art. 119 Tub comma 4 e l’ art. 210 cpc, onde
può conclusivamente convenirsi che il titolare di un rapporto di conto corrente bancario ha
sempre il diritto di ottenere dalla banca il rendiconto ai sensi dell’ art. 119 Tub anche in
sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’ esistenza del rapporto contrattuale, non
potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto dell’ art. 210
cpc” (Così Cass. 2019 n. 27769 che richiama Cass., 2019 n. 3975). Il che significa, ad
avviso del Tribunale, che il correntista può attivare l’ art. 119 Tub anche in sede
processuale mediante l’ art. 210 cpc, fermo restando il rispetto dei termini processuali e
quindi la seconda memoria ex art. 183 comma 6 cpc ( O, al più, la terza memoria, in caso
di particolari dialettiche qui non sussistenti). Nel caso di specie, parte attrice ha circoscritto
la richiesta ex art. 210 cpc a “lettere contratto stipulate con parte attrice ed eventuali
comunicazione di variazione delle condizioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto
inviate e ricevute da parte attrice”, istanza accolta in uno con quella di Ctu e a cui Banca
ha
ottemperato
(pag.
5
della
relazione
peritale).
Le doglianze sul punto di parte attrice non risultano quindi fondate, dovendosi anche
osservare che l’ art. 198 (richiamato in ordinanza ma comunque operante a prescindere)
opera con il consenso di tutte le parti che, ovviamente, sono libere di prestarlo o meno.
5) Ciò premesso, si ritiene che la domanda attorea debba essere respinta perché non
provata: in mancanza degli estratti conto (non prodotti e non richiesti ai sensi delle norme
sopra citate) non è stato infatti possibile effettuare alcuna verifica delle doglianze formulate
da parte attrice. Il Ctu ha pertanto dovuto limitare la sua indagine alla documentazione
contrattuale in atti, riferendo che – in presenza degli estratti conto – avrebbe considerato
legittimo l’anatocismo (nei termini indicati nel quesito) atteso che il contratto 20.9.2004
riporta la clausola di pari periodicità trimestrale e la sottoscrizione del cliente e che –
sempre in presenza degli estratti conto mancanti in atti – non avrebbe operato alcuno
storno delle somme addebitate a titolo di cms in quanto il contratto prevede la corretta
indicazione di tale commissione e di varie voci di spese. Non è stato possibile, al ctu,
effettuare ulteriori considerazioni attesa la carenza della documentazione contabile che
era onere (non assolto) di parte attrice produrre o far confluire in giudizio. Resta solo da
aggiungere che, in questo contesto, l’ eccezione di prescrizione formulata da parte
convenuta
risulta
assorbita.
6) Atteso quanto sopra esposto, la domanda attorea deve essere respinta senza necessità
di nuova ctu e/o di integrazione della ctu esperita e le spese del giudizio, liquidate nella
misura che verrà indicata in dispositivo, seguono la soccombenza. (DM 2014 n. 55,
scaglione
fino
ad
euro
52.000,
valori
medi).
7) Anche le spese di Ctu, come già liquidate (decreto 4.12.20) vanno poste a carico di
parte attrice. Si richiama inoltre il principio giurisprudenziale in base al quale: “in tema di
consulenza tecnica di ufficio, il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a
carico di tutte le parti, atteso che l’ attività posta in essere dal professionista è finalizzataalla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti
interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della
soccombenza”
(Cass.
civ.,
Sez.
II,
30/12/2009,
n.
28094).
8) In applicazione dell’ art. 8, comma 4 bis del d. lgs. 2010 n. 28 – a norma del quale “Il
giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’ art. 5, non ha partecipato al
procedimento [di mediazione] senza giustificato motivo al versamento all’ entrata del
bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto
per il giudizio”- Banca spa, che non ha partecipato al procedimento di mediazione e non
ha fornito alcuna giustificazione di tale mancata partecipazione, deve essere condannata a
versare all’ entrata del bilancio dello Stato una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per il presente giudizio. Si tratta, come è noto , di una
prescrizione (versamento dell’importo a favore dello Stato) che prescinde dall’ esito del
giudizio e la cui ratio risiede nella violazione di quello che è ormai un principio immanente
dell’ ordinamento giuridico e cioè che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé,
a prescindere dal merito e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella
soccombenza.
Pqm
Il Tribunale, decidendo nel procedimento iscritto nel RG al n. 6773/19, ogni contraria
istanza, eccezione e deduzione respinta o dichiarata assorbita o inammissibile, così
provvede:
Rigetta le domande formulate da S.X di B.XXX e C. sas; Condanna S.X di B.XXXX M.XXX
e C. sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rimborsare a Banca, in
persona del legale rappresentante pro tempore, le spese del giudizio, che liquida in euro
7.254,00, oltre IVA e cpa come per legge e rimborso forfettario nella misura del 15%;
Pone le spese di ctu, come già liquidate, a definitivo carico di S.X di B.XXXX M.XXXXXX e
C. sas, in persona del legale rappresentante pro tempore; Condanna Banca spa, in
persona del legale rappresentante pro tempore, a versare all’ entrata del bilancio dello
Stato una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente
giudizio.
Torino,
23.3.21
Il Giudice Dott.ssa Gabriella Ratti

Tribunale di Lecce – Dott. Italo Mirko De Pasquale – 04/02/2020 – In mediazione ogni coerede è – per legge – un distinto centro di interessi, Gli onorari di mediazione sono dovuti da ciascun coerede

Tribunale di Roma – Dott. Massimo Moriconi – 12/04/2021 – la mediazione può essere efficacemente esperita (con assolvimento della condizione di procedibilità prevista dall’art. 3 d.l.132/2014) anche nei casi nei quali la legge NON prevede l’esperimento obbligatorio della mediazione

TRIBUNALE di ROMA SEZIONE XIII
ORDINANZA
Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, le note scritte e le istanze delle parti,
osserva:
L’attore ha dedotto quanto segue:
…. nel riportarsi al proprio atto di citazione, vista l’eccezione sollevata dalla difesa del
Ministero dell’Interno, chiede concedersi termini per istaurare la procedura di negoziazione
assistita nei confronti del Ministero dell’Interno.
Si allega lettera di non adesione da parte della (…) Ass.ne alla negoziazione assistita.
Vertendosi in materia di RCA e di domanda di risarcimento dei danni alla persona proposta
dal trasportato contro l’Ente proprietario dell’auto e della sua assicurazione, vige l’art.3 del
D.L. 12 settembre 2014, n. 132 conv. nella legge 10 novembre 2014, n. 162 che prevede
che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di
risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato,
invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita.
Non ritiene tuttavia il Giudice che l’eccezione sollevata dal Ministero convenuto, relativa al
mancato esperimento da parte dell’attore, nei suoi confronti, della negoziazione assistita,
meriti accoglimento.
Occorre puntualizzare la natura e il contenuto dei rapporti esistenti fra mediazione e
negoziazione assistita.
In tema, le uniche disposizioni normative vigenti sono quelle di cui all’art. 3 commi uno e
cinque del D.L. 132/2014, come modificato dalla l.162/2014, che prevedono
l’obbligatorietà del procedimento di negoziazione assistita in relazione alle controversie in
materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, specificandosi che
allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e
dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, chi intende
proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti
cinquantamila euro (art. 3 comma 1)
Prevedendo altresì che “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti
obbligatori di mediazione e conciliazione, comunque denominati (art. 3 comma 5).
La norma è stata interpretata, condivisibilmente, come manifestazione di una valutazione
del legislatore di opportunità di evitare l’aggravamento conseguente all’imposizione di
queste due specifiche condizioni di procedibilità e di dare prevalenza al procedimento di
mediazione obbligatoria nelle ipotesi di potenziale cumulo tra la negoziazione assistita e la
mediazione, sicché, tutte le volte in cui la controversia sia tanto tra quelle indicate dal D.I.
n. 132 del 2014 quanto tra quelle contenute nell’art. 5 comma 1 bis del D.Lgs. n. 28 del
2010, di talché chi intenda agire in giudizio sarà tenuto a proporre solo la domanda di
mediazione, perdendo così la negoziazione il carattere dell’obbligatorietà (così Corte di
Appello di Napoli, sentenza 22.06.2018 – Est. D’Amore, Tribunale Torre Annunziata
sentenza n.740/2018 del 23.3.2018 e Tribunale di Verona, 23.12.2015 in
https://www.adrmedyapro.it/Massimario/search)
E’ stato altresì puntualizzato che “con riferimento ad altre procedure obbligatorie di
conciliazione, il legislatore del D.L. n. 132/2014 sceglie di non attribuire maggiore
importanza all’una o all’altra, stabilendo che esse convivano (cfr. Tribunale di Verona,
12.5.2016, Vaccari, ibidem). Tale opzione trova la sua ratio nella stessa struttura del
procedimento di mediazione, che, prevedendo l’intervento di un soggetto terzo estraneo
alle parti in lite e dotato del potere di sottoporre alle parti una proposta conciliativa, risulta
maggiormente articolato rispetto a quello di negoziazione assistita e non totalmente
demandato all’autonomia negoziale delle parti. In un quadro di tal fatta deve ritenersi che
l’esperimento del tentativo di mediazione, in luogo del procedimento di negoziazione
assistita – ancorché in un’ipotesi non assoggettata a mediazione obbligatoria ex art. 5,
D.Lgs. 28/2010 – risponda comunque alla ratio della normativa in tema di negoziazione
assistita, in quanto tende ad assicurare l’espletamento di un tentativo di definizione
stragiudiziale della controversia con modalità più stringenti ed, almeno in ipotesi, efficaci
rispetto a quello prescritto dal legislatore” (Tribunale Torre Annunziata cit.).
Da quanto fin qui osservato può trarsi un’ulteriore principio, vale a dire che la mediazione
può essere efficacemente esperita (con assolvimento della condizione di procedibilità
prevista dall’art. 3 d.l.132/2014) anche nei casi nei quali la legge NON prevede
l’esperimento obbligatorio della mediazione (art. 5 co. 1 bis decr. lgs.28/2010), in tal senso
cfr. Tribunale di Napoli, ordinanza 28.5.2018 – Est. Di Vaio (in
https://www.adrmedyapro.it/Massimario/search alla voce mediazione e negoziazione
assistita).
A tanto si perviene sulla base dell’autorevole insegnamento del Giudice delle Leggi che ha,
nella sentenza n.97/2019, limpidamente tratteggiato le preminenti e assorbenti
caratteristiche della mediazione rispetto a quelle della negoziazione assistita.
5.4.1.- Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la
composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle “misure di ADR
(Alternative Dispute Resolution)” (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre,
costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro
conseguenze analoghe, con finalità deflattiva. A fronte di tali profili di omogeneità, e
tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che
assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente
identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa
di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le
due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, “questo essendo
il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali,
nella cui conformazione (…) il legislatore fruisce di ampia discrezionalità” (sentenza n. 12
del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.- Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale
svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, la? dove la stessa neutralità non è
ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione
assistita. Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non
può “assumere diritti od obblighi connessi (…) con gli affari trattati (…)” nè percepire
compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per
ciascuna controversia affidatagli, un’apposita “dichiarazione di imparzialità” e a informare
l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua
neutralità (comma 2, lettere a e b). Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art.
3, comma 2, del D.Lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta
dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180
(Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta
del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione,
nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del
decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del
medesimo D.Lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le
cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore. Mentre,
dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di
assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un
punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione
l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur
versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalista deflattive,
gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità. La
lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro
riscontro nella giurisprudenza Costituzionale. Questa Corte esaminando la mediazione
tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in
essa, “di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e
commerciali disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010 (…), svolga la mediazione”, se da un
lato “comporta l’impossibilita? di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella
civilistica”, dall’altro “induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’ambito
mediatorio propriamente inteso” (sentenza n. 98 del 2014). L’evidenziata disomogeneità
delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a
integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato
irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la
scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.- D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il
diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del
tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della
mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata
e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda,
anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. In tale ultimo giudizio, in altri
termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è
condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo
neutrale. Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il
differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere
ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.
In definitiva quindi, poiché plus semper in se continet quod est minus, può senz’altro
essere affermato il principio che l’esperimento della mediazione, anche laddove non
obbligatoria per legge, tiene luogo della negoziazione assistita anche nei casi per i quali ne
è prevista l’obbligatorietà.
E quindi sia per l’ipotesi delle controversie in materia di circolazione di veicoli e natanti per
le quali è prevista l’obbligatorietà della negoziazione assistita e sia per le domande di
pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro in materie non
assoggettate ex art. 5 comma 1 bis alla mediazione obbligatoria.
Tale conclusione risulta viepiù rafforzata nella mediazione demandata dal Giudice in
quanto che essa mutua dalla mediazione di cui al comma 1 bis predetto, il carattere di
obbligatorietà.
Ed invero, milita in tale senso il principio ubi eadem ratio ibi eadem dispositio.
ED invero se la legge ha voluto far prevalere, nel caso di cumulo (che si può dare non nelle
cause RCA ma per le domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti
cinquantamila euro), fra negoziazione assistita obbligatoria e mediazione di cui all’art. 5
comma 1 bis, quest’ultima, ne consegue che eguale preminenza deve avere, in ogni caso
e quale che sia la materia interessata, anche la mediazione demandata, in quanto
obbligatoria così come quella di cui all’art. 5 comma 1 bis.
In particolare inoltre va segnalato che:
– la convenuta Assicurazione ha già a suo tempo manifestato l’indisponibilità a partecipare
al procedimento di negoziazione assistita,
– le probabilità che possa pervenirsi ad una conciliazione sulla base di un percorso di
negoziazione assistita senza la presenza del soggetto (Assicurazione) che dovrebbe
garantire il debitore (in questo caso il Ministero) sono pari a zero,
– l’eccezione del Ministero è sicuramente del tutto formale e priva di un retroterra sostanziale, come
dimostra la universalmente nota circostanza che proprio le Amministrazioni Pubbliche
Statali sono quelle meno propense a conciliare le controversie,
– la conclamata notoria inefficienza dell’istituto della negoziazione assistita che secondo le statistiche
del Consiglio Nazionale Forense ha prodotto, al di fuori della materia delle separazioni e
dei divorzi, risultati imbarazzanti quanto a conciliazioni, induce a ritenere l’eccezione puramente
formale e procedurale, in assenza di una reale volontà del Ministero di conciliare la causa,
– sussiste l’assoluta necessità di evitare perdite di tempo inutili nel contesto di una
Giustizia Civile già ampiamente gravata da lungaggini,
– è assicurata la garanzia, comprovata dal modo di gestione delle cause riflesso nella
giurisprudenza del Giudice ubiquamente nota anche on line, che nel corso della causa sarà
attivato, se e quando ritenuto utile e fruttuoso, un percorso conciliativo di maggiore e
migliore efficacia consistente per l’appunto nella mediazione demandata dal Giudice ex
art. 5 co. II decr.lgsl.28/2010, istituto assorbente, come il più contiene il meno, la
negoziazione assistita, essendo obbligatoria in entrambi gli istituti – in particolare nella
mediazione obbligatoria e demandata, come nella negoziazione assistita – l’assistenza
degli avvocati, ma solo nella mediazione essendo prevista la fattiva presenza di un
soggetto terzo, autonomo e imparziale, il mediatore che attribuisce un evidente vantaggio
aggiuntivo a tale istituto) di talché, da una parte sarà soddisfatta la condizione di
procedibilità della causa, dall’altra potrà essere soddisfatta (e testata) la sussistenza della
eventuale (e sperata) reale volontà conciliativa da parte del Ministero
Ritenendosi implicita la richiesta di termini, quanto meno da parte dell’attore, si provvede
di conseguenza.
P.Q.M.
a scioglimento della riserva,
– CONCEDE i termini di cui all’art. 183 cpc in sequenza,
– RINVIA all’udienza del 27.9.2021 h.10 per il prosieguo.
FARE AVVISI
Roma lì 12 aprile 2021.

Tribunale di Roma – Dott. Massimo Moriconi – 10/03/2021 – Non è giustificabile il rifiuto della PA alla partecipazione al procedimento di mediazione motivato dal timore di incorrere in danno erariale.

TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII° ORDINANZA

IlGiudice,dott.MassimoMoriconi,letti gli atti, le note scritte, osserva: riservato ogni ulteriore provvedimento all’esito di quanto segue, si ritiene che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti e in particolare dalla consulenza tecnica che potrà essere base e fondamento di un accordo, se del caso anche con il contributo dello stesso consulente diufficio autore degli accertamenti-, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo; per il che si dispone un percorso di mediazione demandata. Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15, decorrente dal 1.5.2021, per depositare presso un organismo di mediazione, a
scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, organismo che va scelto accuratamente, in base a comprovate caratteristiche di competenza e professionalità, necessarie affinché il percorso conciliativo venga utilmente svolto, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.

E’ diffusa la convinzione di una scarsa propensione della P.A. a partecipare ai percorsi conciliativi, in particolare
alla mediazione, e ancor di più a conciliare o transigere le liti.
Laddove l’esistenza di una tale scelta pregiudiziale e generalizzata non abbia fondamento, non vi sarebbe altro da aggiungere. In caso contrario vale ricordare che la partecipazione al procedimento di mediazione
demandata è obbligatoria e che proprio in considerazione di ciò NON è giustificabile una negativa e
generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione e ad un
tentativo serio e fattivo di accordo. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione. Le P.A. ha , in subiecta materia, gli stessi oneri ed obblighi di qualsiasi altro
soggetto. Fermo restando che proprio al fine di rendere trasparente l’accordo e le ragioni che lo sorreggono, è
opportuno procedimentalizzare, a monte, la condotta del funzionario pubblico che amministra danaro della
collettività e negozia. Il che sta a significare che il soggetto che va in mediazione in rappresentanza della P.A.
deve concordare con chi ha il potere dispositivo del diritto oggetto di causa, e previa la debita istruttoria,
perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative. Con conseguente esclusione della
responsabilità, salvo colpa grave o dolo. Peraltro, va considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del
correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni
motivazionali, in nessun caso potrebbe esporre il funzionario a responsabilità erariale, caso mai potendo essa
derivare dalle conseguenze sanzionatorie (art. 96 III° cpc) che possono conseguire ad una condotta
deresponsabilizzata ignava ed agnostica della P.A.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal
D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, cfr. sentenza
tribunale di Roma giudice Moriconi 13630/19 del 27.6.2019, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
Ed inoltre consente l’applicazione dell’art. 96 III° cpc (norma applicata dal Giudice nel caso diingiustificata
mancata partecipazione al procedimento di mediazione, come da costante giurisprudenza, edita anche on line).
Ove ciò possa risultare utile al fine del raggiungimento dell’accordo, si autorizza, a cura della parte più
diligente, la convocazione in mediazione del CTU ing. P M.
P.Q.M.
a scioglimento della riserva che precede,
DISPONE che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma secondo del
decr.lgsl.28/2010, della controversia;
INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4,
co.3° decr.lgsl.28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona (1) , assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione;
INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza
giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
nonché dall’art. 96 III ° cpc;
VA fissato il termine di gg.15, decorrente dal 1.5.2021 per depositare presso un organismo di mediazione, a
scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo commadell’art.5

Roma lì 10.3.2021